Chapitre 3

SEMI DI LUCE
 
 

Semi di Luce... Mundi Futuri Seminarium...
 
 
 
 

"Ce qui ARRIVE possède une telle AVANCE sur ce que nous pensons, sur nos intentions, que nous ne pouvons jamais le rejoindre et jamais connaître sa véritable apparence.

"Rainer Maria Rilke


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ceci le titre de trois biennales d’art électronique, organisées en Italie, par le Groupe Extrême Jonction, avec le soutien d’Institutions Publiques, italiennes et françaises, dans les années ‘87-‘89. Une aventure sono-visuelle, à l’enseigne du magique et de l’électronique ou du primitivisme électronique, pivot et passion du "faire artistique" de ces "ca-o-s-o-nautes"... Devenue dans cette revue, une rubrique-chapitre, ouverte à toutes les suggestions qui peuvent venir de l’extérieur, de la part de tous ceux qui aiment réfléchir sur le quotidien possible de l’homme, à la lumière des nouvelles technologies de communication...
 
 

En attendant vos propositions, on vous invite à méditer sur quelque fragment du projet théorique-poétique de la IVème édition, qu’on a déjà déposé, par exemple, à la Mairie de Créteil, et qu’on voudrait réaliser à Paris...
 
 

... Insinuer de nouveaux langages dans des anti-chambres de ré-création, dévoiler et donner un sens d’abord seulement murmuré qui rend à l’homme une faculté jusqu’alors assoupie. L’acquisition d’un "nouveau ressentir", analisé, soit comme une vision prophétique du philosophe-poète, soit comme objet de discussion scientifique: une conspiration de la science et de l’art...
 
 

... le but de ce présent travail serait d’indiquer comment la mutation dans le type de transmissions et réceptions des nouvelle formes de communication de masse provoquerait une évolution émancipatrice dans les formes actives de la perception du message. Des nouveaux langages qui se présentent avec des caracteristiques traditionelles qui tentent de déterminer les mutations dans la structure même de l’esprit qui s’offre comme force cognitive face au réel; explorations tactiles aux carrefours des événements, sortilèges attractifs d’un "largueur des amarres"...
 
 

A chaque numéro, comme un journal de bord, on publiera des extraits d’articles des différents collaborateurs, qui, dans le temps, ont contribué à la réalisation des éditions passées, et, on espère de celles à venir, de "Semi di Luce".
 
 

Cette fois-ci un compte rendu sur le festival de 1989, de Ninì Candalino:
 
 
 
 

Insinuazioni di Ritorno dal Festival d’Arte Elettronica di Rennes

di Ninì Candalino
 
 
 
 

Nelle città intelligenti lo spazio pubblico e privato è regolato da centrali di gestione computerizzate.

Accanto a Biarritz, città pilota in cui è, per esempio, già in funzione il videotelefono, nelle Côtes-du-Nord si sperimenta il RNIS (Réseau numérique à intégration de service), altro sistema di telefono numerico che guadagnerà a poco a poco la diffusione su Parigi, Neuilly, La Défence.

Mentre dell’esperienza di Biarritz potrete avere qui a Salerno ampia documentazione, mi sembra l’occasione giusta per insinuare nel panorama, altre immagini di un’altra città pilota: Rennes, in Bretagna nel nord della Francia.

Qui è nato il Minitel grand public, computer domestico che fornisce all’utente informazioni di pubblica utilità e che, attraverso le "messaggerie", si paree alla convivialità telematica.

Al dialogo, via testo grafico, tra giocatori a scacchi, come allo scambio di annunci sexy.

A Rennes, nella scorsa primavera, si è svolta la seconda edizione del Festival des arts électroniques (28 maggio/ 5 giugno), occasione per la quale diversi luoghi della città sono stati contenitori e cornici affascinanti per sperimentazioni spettacolari.
 
 
 
 

1 - concerto - performance dell’indemoniato Harry de Witt
 
 

In Francia, musei, archivi, spazi adatti agli spettacoli, già ci sono, dunque c’è da inventarsi l’effimero spettacolare.

Su questo versante, il concerto-performance di Hatty de Witt si è rivelato tra i più scatenati.

Quest’artista olandese è, non solo, l’inventore della strumentazione che usa sulla scena, ma anche uno scopritore di luoghi, che sceglie dal paesaggio urbano perché adatti a sviluppare le sue performances. Per esempio, presso la centrale elettrica abbandonata di Yainville (vicino Rouen), de Witt nel 1985 aveva sviluppato tutta una gamma di sonorità, utilizzando quanto era lì in disuso.

A Rennes ha, invece, scelto la Chiesa Notre-Dame per trasformarla in Chiesa Elettronica. Ha così fatto vibrare quest’architettura sacra, tirando delle corde che aveva attaccato all’organo preesistente, e miscelando, all’alto potenziale di questa "voce", le altre sonorità degli strumenti di sua invenzione. Con la tavola sonora, l’arpa a percussione e il kostrument (costume - strumento di plastica grigia sonorizzato su tutta la superficie) ha vestito il suo corpo che così diventava contemporaneamente una macchina sonora, amplificata dei suoi movimenti.

L’effetto è stato uno scoppio continuo di suoni deflagranti. La violenza uditiva ha, infatti, avvolto il pubblico sul quale s’infrangevano ondate sonore oltremisura.

Al limite tra il rimbambimento e l’ipnosi, agli spettatori si è, inoltre, offerto lo spettacolo di un de Witt indemoniato che si agitava. Dal suo corpo fasciato dalla tuta "intonarumori" si vomitavano infatti sospiri come trombe d’aria, battiti cardiaci come scosse di terremoto. Poi il silenzio.

Poi con il sassofono de Witt ha rivelato la sua anima calda, ha suonato una musica soul, ma alla fine ecco una scarica di trapano spacca pietre.
 
 

2 - L’arte silenziosa di Christina Kubisch
 
 

Al virile de Witt, demonio elettronico in chiesa, si è sovrapposta l’artista tedesca Christina Kubisch che ha progettato la sua installazione in un altro luogo sacro, l’Eglise du Vieux Saint Etienne.

Entrati in questa chiesa ci si sente come in un utero: al buio, con i suoni ovattati. A poco a poco, abituandoci al nero, ci accorgiamo che l’architettura di questa chiesa è disegnata da linee luminescenti prodotte da lampade "a luce nera" e da suoni impalpabili che ci guidano. Cominciamo a muoverci lentamente e a fare cerchi concentrici con i nostri passi. Come in una impalpabile trance siamo fuori dal tempo e dalla spazio; in perfetta sintonia con un’arcaica spiritualità che si espande nei nostri polmoni rallentandoci il battito cardiaco.

3 - L’invisibile animale in gabbia nell’installazione di Erik Samakh
 
 

Siamo nel sottosuolo della Parcheminerie, luogo dove si conciava la pergamena, oggi spazio aperto agli spettacoli teatrali. Anche qui entriamo nel buio, in uno spazio per nulla illuminato, che ha al centro una gabbia, di quelle grandi da zoo. Ci avviciniamo, ma dentro non c’è traccia di animale; cominciamo a guardare meglio, ma sentiamo solo un sospiro, poi piccoli saltelli tra le sbarre, eppure dentro non c’è nessuno. Cominciamo a girare intorno alla gabbia e a poco a poco scopriamo che, in base ai nostri movimenti nello spazio, rispondono suoni.

Dunque, questa installazione di Erik Samakh, giovane artista francese (padre nord-africano), è un gioco con lo spettatore. E’ chi sta fuori dalla gabbia che, cercando un invisibile animale in gabbia, mette in gioco le sue paure ancestrali. Poi si scopre che i suoni sono registrati, ci si tranquillizza e allora si gioca con i rumori per rintracciare attraverso di essi, forme e movimenti di questo invisibile animale in gabbia.

In breve, dal suono si evocano le immagini dei nostri movimenti, le nostre immaginazioni. Esperimento riuscitissimo questo di Samakh che non ha "messo in opera" la sua volontà di potenza ma, con ironia ed intelligenza, ha costruito un piccolo labirinto interattivo.

Se lo spettatore ha paura del buio, sono fatti suoi; se supera lo spiazzamento e saprà giocare con questo invisibile animale, si ricorderà delle sue paure ancestrali, dei rumori nel buio, delle immagini infantili di mostri che appaiono dal nero, e poi superati i ricordi lì in quella sala rimarrà fino a che il giuoco sarà esaurito con una risata.
 
 

4 - Il bimbo in videodisco dell’americano Peter D’Agostino
 
 

Non c’è stato bisogno di un luogo speciale per ambientare l’installazione di Peter D’Agostino. Lo spazio storico che faceva respirare aria esoterica agli spettatori che hanno percorso i luoghi della città, era indispensabile per Double you ( and x, y z). Usando la tecnologia del videodisco, l’artista americano ha fatto giocare lo spettatore evocando lo sviluppo del bambino. D’Agostino ha, infatti, messo in gioco i primi passi della comunicazione. Il grido della nascita, le prime parole, le prime frasi, le canzoni e filastrocche dei primi anni sono stati proposti allo spettatore chiamato a selezionare la sua scelta (tra le 52 esistenti), toccando una x, y, z o direttamente sul monitor. Il videodisco permette, infatti, di creare delle corrispondenze tra una moltitudine di suoni, di immagini, di testi scritti.

E c’è stato di che sbizzarrirsi a fare associazioni inedite spupazzandosi un bimbo in videodisco. E non è per caso che questa installazione è dedicata da D’Agostino ad Alfred Jarry, poeta e patafisico che visse a Rennes dal 1888 al 1891.
 
 

Exercises de Philosophie Electronique de l’Exploration de Nouveaux Langages . a la Recherche de Nouvelles Realites

par Eva Rachele Grassi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

"... un nouveau départ vers

un désert d’incertitude..."

.ABRAHAM


 
 
 
 
 
 
 
 
 

... avec un certain regard, à l’écoute des recits et des actions, à la recherche de traces, en scrutant...
 
 

... réponses-questions...
 
 

... une conspiration entre les "savoirs"... spirituels... mistiques... scientifiques... dans la joie hardie d’une fouille illimitée... pour se souvenir...
 
 

... avec une parole fragmentaire... encore parole, mais parole... à la limite... une sorte d’écriture d’effraction... un résidu de pensée réfractaire...
 
 

... et si les écritures... actions/ images/ poèmes... ont vraiment tout hypotisé... la nouveauté... est... de s’apercevoir... MAINTENANT... de vivre au temps de l’instant... où... ce qu’une fois était seulement une suggestion prévoyante... est devenue... en fait... une réalité présente...
 
 

... c’est pour cela... aussi... que le nouveaux langages nous interessent... parce qu’ils suggèrent... des insinuations de "nouvelles réalités"... même si... hélas... encore seulement... des "rares éveils"... aussitôt effacés... pour revenir... nuages au travail... dans les parages du "vague"...
 
 
 
 

Il était une fois, dans des coins reculés du temps et de l’histoire certains tribus, où tout le monde était en premier lieu occupé par les rêves. Le but essentiel de la vie était le rêve initiatique, dans lequel on apercevait le gardien, l’archetype de sa propre existence. Des jours sans visions étaient le sommet de la désolation, et il ne restait alors qu’à demander aux plus aventureux de partager leurs rêves. Les chamans, donc, songeaient pour le monde entier et élaboraient leurs rêves comme des représentations. Il semblerait que par cet acte de générosité débuta l’Œuvre, théâtrale, poétique, musicale... tout ça qu’on peut appeler art et culture aujourd’hui, et magie à l’époque...

Depuis, une nostalgie envahissante a demeuré à jamais... la nostalgie d’une monde, où soit possible l’entrelacement du plan du rêve et de celui du réel.

Après une culture typographique et la conséquente "raideur" de la réalité, on vit maintenant dans une phase d’implosion du processus historique. En effet, avec l’électronique, s’est récrée dans toutes les occupations humaines le champ simultané, qui resonne des tam-tam tribals, et on se retrouve en un équilibre instable entre deux mondes et deux systèmes en constant conflit.

Le drame de ces acteurs modernes, à la conquête d’un rôle, à la poursuite d’une présence qui risque de se perdre, est très semblable à celui que vit l’homme primitif exposé au risque de la labilité de l’"y être". Comme on l’a vu, dans les communautés originaires, le problème se resoude dans le règne de la magie: l’angoisse de "se perdre" acquiert dignité de connaissance "aurorale" et devient culture.

A ce moment de notre histoire, dans cette époque d’inter-phase, c’est, peut- être, l’artiste, qui peut assumer à nouveau son rôle de chaman, de guetteur d’invisible, et qui peut suggerer un différent sens de réalité, dans la vision d’une conscience collective et mythique.

"Il fuori", le dehors: seulement le premier sursaut, depuis le récipient fermé. Pour apprendre l’art de l’"inapparent", pour apprendre à vivre...

Encore personne ne connait effectivement le vrai langage, intimement connexe à la nouvelle civilisation technologique: on est tous comme muets, sourds et aveugles sur les terms de la situation contemporaine.

Nos mots et nos pensèes les plus efficaces nous abusent, parce qu’ils se référent à ce qui existait déjà, pas au présent. Nous commençons seulement maintenant à donner une autre structure aux sensations primordiales, et aux émotions, des quelles nous ont separés des millénaires d’expérience linéaire.

On peut se demander: est-on dans le juste, quand on accepte sans ésiter la présence de la ligne dans la réalité? On a assez de materiel pour mettre en doute le fait que le problème de la ligne soit fondamental pour chaque expérience. On ne peut même pas affirmer avec certitude qu’elle existe pour ces membres de notre société qui sont profondément ou ingénument plongés dans la civilisation qui les caractérise.

Et le langage de l’a-temporalité de l’expérience humaine au-delà de la marque de l’histoire qui veut un homme pour chaque époque, c’est celui de l’artiste qui vise à la Vraie Réalité, a celle que les communautés primitives savaient respecter, et qui existe indépendemment de l’expérience humaine.

L’évolution des formes de la communication continue aujourd’hui avec les nouvelles formes de la communication de masse, qui engendrent de nouveaux langages, dont la grammaire est inconnue à la plupart. Elles sont comme des formes artistiques; à la structure non comparable à une ligne, mais à un nœud; où on n’y doit pas chercher une linéarité, ou une casualité, ou une chronologie, ni quelque chose qui porte à une succession émotive determinée; on doit y voir rien d’autre qu’un nœud "gordiano", sans précédents et sans consequences, qui contient en soi des éléments soigneusement choisis, juxtaposés, inséparablement fondus en un nœud, qu’on ne peut pas dissoudre pour en avoir la longue, subtile corde de la linéarité. Une expérimentation des usages différents des categories du temps, où le présent n’est pas consideré comme un bien en soi, où il n’est pas évalué dans les termes de sa position à l’intérieur d’un cours d’actions tendant à un but adapté.

N’opérer aucune distinction entre présent et passé; sans aucun rapport de cause, de fin. Dans une intuition du temps-suggestion, animé par le présage. S’impose un processus qui va du connu à l’inconnu, à travers la simulation technologique...

Exister dans un monde de profondeur et résonance, dominé par l’hyper-esthétique, omnicompréhensive, sensible Oreille. S’ouvrir sur tous les horizons et toutes les collaborations, offrir des récits à multiples facettes, des errances sans commencement ni fin, se permettre toutes les con-fusions entre le réel et l’imaginaire... sans savoir vers quoi on s’engage... A force de transmissions successives, un nouveau sens va surgir...

Une culture où on réagit et on agit simultanément, dans un espace sans centre ni périphérie, organique et intégral. Un espace magique d’existence, bondé par une série de sentiments complexes, de precieuse émotivité. Un cercle enchanté et sa magie sonore... Et l’électronique et sa technologie vont reproduire cette conscience en profondeur, comme son complément naturel. Les formes d’espaces et de temps sont encore celles anciennes et fragmentaires de l’ère pré-électrique.

Insinuer des nouvelles réalités, en sormontant l’opacité sémantique des nouvelles technologie, en nous imaginant les valeurs non materielles des outils électroniques. Vers un usage liberé de l’espace qui contribue à liberer aussi les temps. Encore le dehors, l’après. Au point le plus vif, presque déjà au-delà de l’électronique, où les infinis fragments humains se récomposent dans la rapidissime spirale de l’Impossible. Dans une lecture hallucinée qui re-propose le bouleversement de l’Origine.

Une invit/ation à participer au processus d’exploration dans le signe d’une implication; au début de l’âge d’or. La dernière expérimentation avec l’esprit, le dernier "épier", le dernier "avouer", avant de glisser dans l’imagination... Une prophétie qui s’auto-réalise. Un passage de l’hypnose à l’hallucination. Même si cette armonie de transformation connait comme nécessaire "aritmos" le doute. Programmatique et perturbant. Le dernier sanglot du "dire", avant la perfection pre-verbale. Dans le Post-Modem. Où, après l’abolition de l’histoire, commence une nouvelle "histoire"...

... l’atteinte totalité du "soi" (Jung)... le Mythe qui rentre dans l’histoire (Mc Luhan)... un unique horizon pour le royaume de la réalité et celui de la fantaisie (physique quantique)...

... et rejointe l’aspiration totale, à travers l’électronique, la traversée nomadique après le deuil pour la mort du langage, ça sera l’extravagant et fascinant avénement de la capture visionnaire d’un bonheur menaçant et sans défense... jusqu’à ce que le "dire" ne soit plus oublié derrière le "dit"...

"Existent deux types d’edifices en ce monde. Un, c’est le temple, qui sert lui aussi pour se perdre ou pour communiquer avec un Dieu, dont on ne sait pas s’il existe; l’autre c’est le labyrinthe pour savoir qu’on s’est perdus, pour sentir que c’est ça, la terrible substance de l’univers. Cependant aujourd’hui, je ne crois plus à ça, je prèfere penser à un cosmos, et ce cosmos peut être l’architecture ou le poète, on peut être Dieu: un cosmos qui joue au chaos, qui joue au labyrinthe, à la con-fusion; à la merveille" (Borges)

"Il y a une ouverture entre deux mondes: le monde des sorciers et celui des êtres vivants. Il y a un lieu où les deux mondes se rencontrent: l’ouverture est là. Elle s’ouvre et se ferme comme une porte dans le vent..." (Castaneda) ... Peut être, sommes-nous, les plus proches de cette porte: le vent électrique l’ouvrira toute grande...

... Les voyageurs sont extrêmement nombreux; ils se pénètrent et se remplissent de l’Antérieur aux êtres, sans point de départ, d’avant et d’aprèes... à la rencontre du Grand Attracteur... semi di luce, mundi futuri seminarium...(1)
 
 

(Salerno, 1982/ Paris, 1998)

 

(1) Réflexions éparpillées sur les nouveaux langages, diffusées sur Internet, à l'occasion de la journée de la "Fête d'Internet", le 21 mars 1998. Quelque extrait d'"exercices…", sur la page d'accueil du site WEB d'Extrême Jonction.
 
 

A Proposito di "Liaisons Dangereuses" tra Arte e Comunicazione Tecnologica

di Filiberto Menna
 
 
 
 
 
 

In una società come questa segnata dai mezzi di comunicazione di massa e dai processi di informatizzazione generalizzata la posizione dell’arte rischia senza dubbio di restare ai margini dei grandi canali comunicativi: sicché appare quanto mai legittimo chiedersi quale sia stata e quale sia, oggi, la risposta che l’arte ha dato e dà alla sfida della comunicazione sociale di massa. Penso che si debba cercare di rispondere a questo interrogativo se si vuole individuare una possibilità, un’ipotesi di lavoro artistico che incida nella realtà e possa contribuire ai processi di cambiamento.

Per quanto riguarda le avanguardie si può dire che esse hanno lavorato all’interno delle grandi eredità delle avanguardie storiche apportando modificazioni e scarti di entità diverse: così per le neoavanguardie il cambiamento non riguarda più la società nel suo complesso, ma si restringe ai fatti linguistici. Verso la fine degli anni 60, tuttavia, soprattutto dopo gli eventi del ‘68, l’arte ha riproposto mutamenti più profondi e radicali, prendendo come modelli condizioni di vita lontani nel tempo e nello spazio rispetto alle società industriali avanzate: così, mentre nell’area delle neo-avanguardie il rapporto con la comunicazione sociale di massa viene codificato per il tramite dell’industria culturale ed assume un carattere mimetico, nel Comportamentismo, nell’Arte Povera, nella Land Art c’è piuttosto una critica dei mezzi della comunicazione sociale di massa insieme alla proposta di modelli alternativi.

D’altra parte anche nelle correnti analitiche e concettuali, contemporanea alle esperienze comportamentiste, c’è una critica implicita della logica della comunicazione sociale, in quanto logica transitiva che passa immediatamente (e nel modo più semplice possibile) da A a B, mentre la comunicazione proposta dall’Arte concettuale è di tipo autoriflessivo e intransitivo.

Nella seconda metà degli anni settanta si registra un mutamento rispetto a questo stato di cose: dalla Transavanguardia al Neo-espressionismo fino alle forme anacroniste, colte, e simili, il rapporto con la comunicazione sociale si pone in termini non più oppositivi, ma nuovamente mimetici e adesivi: l’eclettismo non è più visto, come in passato, come un disvalore, ma come valore, e di fatto esso diventa il comune denominatore di tutte queste esperienze artistiche.

L’analogia tra comunicazione artistica e comunicazione tecnologica si fa ancora più stretta in altre declinazioni, come il graffitismo americano, senza contare tutte le forme di arte tecnologica. In queste esperienze, che vanno dall’Arte programmata degli anni settanta alle recenti declinazione della video-arte e alla costruzione di immagini elettroniche, il rapporto mimetico e adesivo non si fonda su una analogia di repertori iconografici, come si verificava con la Pop art, ma piuttosto sul trasferimento di interesse dalle forme discrete e finite ai campi e ai flussi di energia.
 
 

(estratto da Videoculture. Strategie dei linguaggi elettronici a cura di S. Brancato e F. Iannucci, Università degli Studi di Napoli, 22-23-24 aprile 1988)
 
 

Dromoscopie

Intervista a Paul Virilio

a cura di Ninì Candalino
 
 
 
 
 

Nell'andirivieni di Immagina abbiamo incontrato il sociologo Paul Virilio (tra i suoi saggi: "L'espace critique", "Vitesse et politique", "Logistique de la perception", "L'horizon négatif"). E' convinto che domani ci sarà una crisi spaventosa della società telematica e che la tecnologia ha una linea di tendenza pericolosa.

Lei definisce con grande preoccupazione la società di domani come "un mondo dove il tempo prevarrà sullo spazio e dove l'immagine prevarrà sull'oggetto e perfino sull'essere fisicamente presenti".

Io cerco solo di tamponare l'euforia tecnologica in cui siamo immersi e di sottolineare che la linea di tendenza pericolosa della tecnologia è la velocità di calcolo. Si parla di milioni di operazioni al secondo. Dunque questa sfera di velocità ci rende progressivamente e definitivamente estranei al calcolatore. Perché l'uomo ha una velocità differente dalla tecnologia, come del resto è estraneo alla sfera di velocità della mosca.

Ciò che è grave dell'inconscio tecnologico è che noi stiamo per delegarvi il potere decisionale, tanto nella diagnostica elettronica medica che nella guerra (gestita da un satellite intelligente). In più, diventiamo degli handicappati sessuali attraverso la progressiva sofisticazione della prostituzione dei telefoni rosa, del minitel. Quando guardiamo all'evoluzione della sessualità di massa ci rendiamo conto che dalle case chiuse si passa alla rappresentazione della prostituzione attraverso le vetrine di Amsterdam, lo strip-tease, fino ad arrivare al minitel che annulla definitivamente il contatto intimo e fisico. L’infermità è il problema fondamentale dell'elettronica.

L'uomo diventa inerte, a lui tutto arriva. L'uomo diventa confinato come lo era nel ghetto o nella famiglia borghese, ma oggi è chiuso nell'inerzia del telelavoro o del telefono rosa. Noi siamo iscritti non solo nella carne, negli odori, nella materia, ma anche nell'energia, nella vitalità, nel vivo, nella visione della velocità che io chiamo dromoscopia. Quando cammino vedo gli alberi ed ho l'impressione che mi vengano incontro, che non sia io che vado verso di loro, ma che loro vengano verso di me. Questo è l'inizio dell'illusione dromoscopica, dell'illusione ottica della velocità. Gli effetti dromoscopici mobili, automobili, si sostituiscono oggi a quelli dell'elettronica che fanno sì che le immagini vengano a noi, che le cose si muovano senza di noi, senza che noi andiamo verso di loro.

Inoltre io trovo fondamentale che quando si parla della robotica che si sostituisce all'uomo, si debba anche parlare degli incidenti che l'automazione comporta. Inventare il treno è inventare il deragliamento, così per l’uomo infermo che ha avuto un incidente s'inventano delle protesi che gli permettono di muoversi. E allora gli stessi materiali che servono ad aiutare l'handicappato, aiutano ad assistere l'uomo d’élite, equipaggiato. Il paralizzato e il pilota di un caccia sono ambedue degli handicappati prodotti della robotica.

Sembra che la Honeywell, per scopi militari abbia progettato un casco in grado di proiettare direttamente sulla retina del pilota i dati dal quadro strumenti che si sovrappongono al campo visivo.

Gli esperimenti di simulazione militare sono esempi fondamentali per capire la mutazione in corso. Nei prossimi aerei di combattimento è il casco il simulatore di volo. Il pilota infatti volerà ma vedendo artificialmente il suolo intorno a lui. La simulazione non è più di volo ma di suolo. Questa è l'ultima novità: che il pilota veda artificialmente la realtà e faccia la guerra nel suo casco simulatore. E' formidabile e atroce nello stesso tempo. Quando ho incontrato un responsabile dei simulatori al Ministero della guerra di Parigi, mi ha detto terrorizzato: "Non voglio che mia figlia giochi neanche con una piccola calcolatrice". Certo, dalla piccola calcolatrice al casco simulatore di suolo per la guerra ci passa un mare di differenza.

E allora lasciamo da parte il fascino della logica paradossale e tocchiamo il tasto più specifico della computer grafica. Lei è stato il primo, appena uscì il libro del matematico Mandelbrot, in Francia nel 1975, a farsi sedurre dalla geometria dei frattali. Tanto che poi scrisse articoli e poi saggi in cui parlava d'immagini computerizzate e di questa nuova geometria non euclidea della natura attraverso la quale si possono "vedere trasparenze sconosciute".

Certamente le immagini numeriche sono un mezzo per penetrare la realtà, un mezzo per presentarla. E' un'ottica numerica attiva. Come c'è stata la lente di Galileo, che ha permesso di vedere diversamente, oggi c'è un mezzo per vedere ciò che non si vedeva all'epoca. Certo la realtà non è mai data, semmai è acquisita dalle società, generata.

Quello che ci tengo a sottolineare è che come era alla fine del medioevo, anche oggi è centrale la questione della rappresentazione del mondo. Ma al posto dei filosofi e dei preti è chi pratica direttamente la ricerca visiva che deve interrogarsi e sperimentare il blocco immagine.

Che cosa intende per blocco immagine?

Tutte le immagini formano una nebulosa che circondala realtà che, in quanto "divina" è inaccessibile. L'uomo può accedervi solo attraverso la massa d'immagine che produce. Dunque si forma un blocco immagine che, a mano a mano, si sviluppa attraverso nuove tecnologie. C'è una situazione delle immagini che si contaminano tra di loro e formano un corpo di rappresentazione. E' necessario allora riunire disegnatori, pittori, cineasti, videasti e operatori al computer perché si abbia la possibilità di trovarsi insieme a lavorare. Per ora ciascun operatore percepisce la realtà attraverso il suo codice. In Francia c'è guerra tra cineasti e videasti, per esempio.

In tutti i casi non bisogna lasciare che la velocità della tecnologia abbia il sopravvento. Gli operatori del blocco immagine non hanno bisogno di velocità ma solo di accesso ai mezzi e secondo quei tempi di lavoro di ricerca che non sono certo quelli imposti dall'industria di Topolino.
 
 

(estratto da Videoculture. Strategie dei linguaggi elettronici a cura di S. Brancato e F. Iannucci, Università degli Studi di Napoli, 22-23-24 aprile 1988)
 
 

A proposito di Video-Critica?!

di Eva Rachele Grassi ed Ermanno Senatore
 

"Sotto questa pressione nasce il progetto dell'opera che, nel suo compimento stesso,
é sempre ancora a venire, che non ha contenuto, perché supera sempre  cio' che sembra
contenere e afferma unicamente il suo stesso fuori, cioé se stessa non come presenza piena,
ma in rapporto con la sua assenza, l'assenza d'opera o inoperosità"

                                                                                                                         Maurice Blanchot
                                                                                       "L'infinito intrattenimento" ed. Einaudi
 
 
 
 

  Semi di luce: mundi futuri seminarium...

Insinuare nuovi linguaggi in anticamere di ri-creazione, tender al riscatto del caos e della dissolvenza della storia. Con la capacità quasi magica di rendere presente ciò che è assente: qualcosa di prezioso da trattare con la massima cura.

Un’estasi della comunicazione che sveli ed indichi un senso prima sussurrato e che restituisca all’uomo facoltà finora assopite. L’acquisizione di un nuovo sentire, analizzata sia come visione profetica del filosofo-poeta, sia come oggetto di discussione scientifica: una cospirazione tra arte e scienza, che si manifesti come conoscenza aurorale nei mondi e nei modi superluminali.

Nuvole di probabilità, discrete e continue, negli scontri tra una talpa e una farfalla, coinvolte in una inversione di marcia. Nuovi linguaggi che si presentino con caratteristiche diverse rispetto a quelli tradizionali e che tendano a determinare mutamenti nella struttura stessa della mente nel suo porsi come forza conoscitiva di fronte al reale, esplorazioni tattili sull’incrociarsi degli eventi, sortilegi "attrattori" di un approdo al largo, perturbazioni di individualità dai contorni imprecisi, insinuazioni dal regno intermedio sull’orlo di profondità sfiorate.

Venti elettrici che sospingono verso invisibili avventure e ridonano le capacità di percepire la vita diversa e discontinua delle forme,: in contatto con magiche comunità originarie.

Creature su trapezi volanti indugiano su profumi in confluenze d’onda, consegnano frammenti al mercato, senza rimedi, e, per uno spazio breve salvano sguardi dorati dall’orgia del tempo.

Nodi senza precedenti e senza conseguenze sull’orizzonte degli eventi.

Turbine attorno all’occhio, velocità compatta, oscillazione crescente, vibrazione assordante, sovrapposizione e simultaneità di un discorso che "si ascolta" nello spazio universale e senza fondo.

Franamento di ogni limite nel mondo in decisione; occhi spalancati in bilico su nascite cosmiche.

Tra due assenze, un giudizio sospeso come raro esploratore sonoro, plasmato dai modelli del mito e del rito.

In una combinazione d’intensità, l’incontro tra la magia e l’elettronica, dove la sensibilità estetica e sperimentale a costituire il miglior progetto di sopravvivenza, in uno spazio continuo tra realtà e apparizione.

Probabilità e mutamento in un progetto di vita che produce mutazioni percettive, nel viaggio degli avventurieri ca-o-s-o-nauti del "non concetto" in un’atmosfera di calore e freddezza.

L’uomo dal pensiero terminale, oltre il compiacimento di un’assoluzione, l’individuo dalla conoscenza accumulata, che non può fermarsi alla sovranità dell’assoluto, ma il cui compito è quello di trovare accesso all’invalicabile. Dunque, soprattutto una ricerca, tra sogno e precisione, su un linguaggio che non sia più una specie di malattia. Il trionfo del pensiero più sfuggente. Nel punto più vivo, già quasi oltre l’elettronica, dove gli infiniti frammenti umani si ricompongono nella velocissima spirale dell’apparente indecisione di ciò che non ebbe mai un inizio. Verso l’irrappresentabile, fino a comunicare senza la comunicazione. Fino a che il dire non resti più dimenticato dietro il detto.

"In una nuova costellazione, là dove, per il soggetto, inizia una nuova [storia]" (W. Benjamin).
 
 

(estratto da Videoculture. Strategie dei linguaggi elettronici a cura di S. Brancato e F. Iannucci, Università degli Studi di Napoli, 22-23-24 aprile 1988)
 
 

Comunicazioni in Tempo Reale

di Angelo Ermanno Senatore
 
 
 

Il conto alla rovescia rintocca i suoi ultimi battiti/.

L’ultimo battito d’ali dell’uccello telematico (non per morire a terra) si innalza verso il cielo elevando la sua potenza creativa e rivoluzionaria. Il fine-millennio sta già segnando le sue note caratteriali di musica decadente, nello scenario "ancor moderno" della "fin de siècle"/ oltrepassano i cervelli delle genti vagiti e tam-tam primordiali di un’umanità che cambierà sembianze nel "guardare": il "si comincia a vedere" scorre più veloce delle stesse teorie.

Nuovi "voyeurs" in forma di mutamenti televisivi popolano, "in tempo reale", l’irrealtà di discorsi non ancora avvenuti tra chi, in sorta di guida-esploratore, indica la strada ai viandanti dell’occhio futuro." L’occhio" sta forse andando come un battello ubriaco più forte della "critica"?

Da tempo ormai ci si batte e si dibatte sul futuro di quella scatoletta magica, pozzo dei desideri e deposito di manipolazioni-frustrazioni-angosce-deliri-gioie. Il "senso" del pensiero del discorso rallenta i "sensi" degli umanoidi di turno.

I fanciulli e gli artisti dell’io bambino, bombardati dal nuovo oggetto-soggetto desiderante, scoppiettano nella simultaneità.

Un magma enorme di "ragazzerie" produce videogames e programmini, videoclips e smancerie telematiche. Artisti e creativi della "movida" saltellano da uno studio all’altro, da un monitor a un mouse, per "entrare". Sì, entrare in quella porta dove l’infinito allarga le sue gambe a nuovi amori, per nuovi deliri scanditi da pulsazioni, bit e dintorni.

La magia elettrizza i novelli-sciamani-adolescenti che calpesteranno un futuro già alquanto prossimo. Primitivismo ed elettronico non sono più etichette, ma dei "finalmente". Il coraggio e la paura la notte del primo amore. L’occhio critico di qualcuno "comincia anch’esso a vedere", come questi nuovi sciamani: il divenire avviene "naturalmente".

Il finalmente ed il naturalmente sono in procinto di varcare la soglia del "sogno di Eidos". Lasciate entrare, senza anteporre ostacoli con il "già detto" dei discorsi.

Mentre qualcuno litiga, una marea si muove e "naturalmente", indica la via al battello ubriaco dei voyeurs-mutanti. Questa marea ha soltanto bisogno di qualche "traccia di storia" che le indichi dov’era l’isola, prima della sua "scomparsa".

"Scompare", sempre di più, il bisogno di guru, si ha voglia soltanto di conoscere le coordinate del procedere, e in questo tempo-tempio, qualcuno si muove avanzando spedito verso l’altrove: il "dove" del creativo, dell’artista-sciamano e del fanciullo. "Se ne sente l’odore". I tam-tam segnano il tempo della memoria, la fine è prossima, viva la fine! L’inizio è quello che ci prende e ci tira dentro alla notte; il bagliore del faro permetterà alla navicella di arrivare con la marea, che la guida con il suo ondulare-cullare, all’"isola che non c’è".

Questo è il sogno dell’artista dall’io bambino, dell’avventuriero sonovisivo che gioca all’appuntamento video-computerizzato ogni anno, seminando raggi, piccoli raggi...

Il particolare e l’essenziale, come la sintesi, ci interessano.

L’insieme dei particolari: sta agli abitanti dell’"altrove" curarne le sembianze...

Nel "prossimo venturo", gli avventurieri giocheranno, dopo Biarritz, con l’oriente telematico...

"Au revoir ici, n’importe où"... sono solo Insinuazioni...
 
 

(estratto da Videoculture2. Europa Elettronica. Punti di vista ovvero i valori, Università degli Studi di Napoli, 14-16 aprile 1989)
 
 

Insinuazioni in Tempo Reale

di Eva Rachele Grassi
 
 
 
 
 

 Ma ora è il giorno! L'ho veduto venire.

 Quello che vidi, il Sacro, sia la mia parola.

La natura più antica delle età,

sopra gli dei d'oriente e d'occidente;

e dall'Etere alto ai fondi abissi

secondo leggi ferme, come un tempo

quando la generò il sacro Caos;

sente in sé nuova

quella che tutto crea, l'estasi ardente.

 
Holderlin, Wie wenn am Feiertage

(Come al giorno di festa)

  Squisita oscillazione su ans(i)e di bellezza.

Difficile dire cosa sia: traccia, alone

Mania che non si acquieta.

Punti liminari - ai margini delle forme - misteriosa corrente - terra di inesorabili miracoli.

Evento che non ha al proprio termine, il senso.

Ma, in sospensioni, sconfinate vertigini.

Di angeli incantati. Da archi enigmatici d'ascolto.

L'aperto

Un altro respiro da invocare e celebrare.

Apparizioni accoglienti vicine e inaccessibili

Non ridurle, non romperne l'intimità.

Sperimentarne la luce.

Con parola di intervallo, parola solo al limite

fra il giorno e la notte, inespressa e innocente.

Brividi e inquietudini cosmiche si fanno danza

per intercettare, seguire, spiare spirali

di atemporali memorie di onnipotenza.

Spostare continuamente, nonostante lo smarrimento, i confini dello stupore.

Esporsi compiacenti a tutte le metamorfosi,

parlare il linguaggio delle nascite,

nell'attesa dell'avvenire illimitato.

Sul percorso, laterali arricciature di realtà, si insinuano,

nell'andirivieni quotidiano delle trame del giorno.

In questa immensità navigabile, l'immediato orizzonte dell'evento telematico

violenze illuminate della comunicazione.

Il sapere cambia segno, occupa e sconvolge, apre una nuova durata.

L'adesso del giorno che sorge libera da sguardi irritanti.

Il cono d'ombra... e il buio comincia a farsi trasparente...
 
 
 
 

(estratto da Videoculture2. Europa Elettronica. Punti di vista ovvero i valori, Università degli Studi di Napoli, 14-16 aprile 1989)
 
 

Manifest/azione dell’ambiente estetico

di Giuseppe Siano
 
 
 
 

All’inizio di questo secolo definivamo lo spazio attraverso due massimo tre dimensioni, oggi di dimensioni ne conosciamo anche quattro fino ad n dimensioni.

Se volessimo configurare una più esaustiva idea di spazio, dovremmo iniziare a interrogarci dapprima come si manifesta la quarta dimensione: ad esempio, spostando in diagonale la rotazione di un cubo, come ci suggerisce R. Rucker ne La quarta dimensione. E poi, potremmo, con Cantor e le sue ricerche matematiche, rinvenire anche il muoversi in diagonale dell’infinito e del transfinito; e andando a ritroso, agli anni ‘20, quando i due fisici W. Heisenberg e E. Schroedinger "scoprirono che il modo migliore di interpretare la meccanica quantistica consiste nell’affermare che le particelle sono configurazioni in uno spazio di Hilbert" di cui si connotano infinite dimensioni (la citazione è tratta da Rucker, p. 246). Tutto ciò svela perché l’arte inizia a costituirsi anche come organizzazione del vivente, nel suo oscillare tra ordine e disordine di micro e macro strutture relative.

Nello spazio coevo, tra l’altro, si relaziona l’essere a dimensionalità, o meglio a multidimensionalità, percettive: da una parte con lo studio del tempo fisico e dall’altro con quello del tempo psichico, specie oggi per il contributo biologico e cibernetico.

Considerare il corpo, aggregato di atomi, con in suoi sistemi chimico-elettrici come una centrale di trasmissioni e ricezioni di informazioni è alla base della cibernetica. Gli studi sulla percezione, a loro volta, fondano il nuovo evento comunicativo-cognitivo di una estetica basata sulla cibernetica della cibernetica - ovvero su di un sistema di conoscenza autosservante o autopoietico. Infatti connettere lo spazio alla percezione comporta che si inizi a vedere lo spazio come un ambiente percettivo entro cui si designa una mappa di conoscenza. Dire ambiente, nel procedere cognitivo, è come aprire lo spazio alla conoscenza della sua organizzazione, dalla microfisica alla astrofisica; in cui la percezione (e ovviamente l'interpretazione) cibernetica di spazio va considerata come relazione d’ambiente.

In pochi decenni l’intera esistenza è stata inglobata nello spazio cognitivo. Ci muoviamo in ambienti cognitivi, dove configurazioni artistiche ci presentano sviluppi di informazioni (da intendere come processo di simulazioni proiettive in forma d’azione) pronti a stimolare e a tracciare le nostre mappe di conoscenza, in un viaggio a ritroso verso l’origine, ma anche escatologico, verso la proiezione ultima. Ecco che l’arte ha travalicato la mera funzione simbolica o rappresentativa o presentativa come finora è stata analizzata dall’osservatore o dal cultore: ovvero si è compreso che tra osservatore, oggetto osservato e punto di osservazione c’è una coevoluzione; per cui non c’è più né l’oggetto né il soggetto di conoscenza ma solo le informazioni e la organizzazione di quelle, da cui traiamo conoscenze sul nostro sistema percettivo-cognitivo e sul suo sviluppo. L’arte diventa così uno dei sistemi percettivo-cognitivo per sviluppare e stimolare aree del cervello e dove il nuovo mondo intermedio artistico si ripromette di procedere oscillando e mettendo in circolo organizzazioni di saperi e percezioni che spaziano da un andare verso l’infinitesimalmente piccolo ed il trasportarsi verso l’immensamente grande alla velocità della luce, delineando collegamenti per autologie autopoietiche di percorsi cognitivi. L’ambiente è diventato il centro entro cui si elabora l’organizzazione dell’informazione. Si amplia così il limitativo concetto di spazio multidimensionale aprendolo al cognitivo. La configurazione dell’arte si coevolve nell’ambiente e disvela al nostro "sentire" mappe di conoscenza con cui si formano possibili ambienti cognitivi. Essi sono a testimone di sistemi dei saperi autologici (fisici e psichici) di questo nostro mondo che è sempre più vicino alla simulazione delle sinapsi neurali, ed in cui il reale e l’immaginario svaniscono come forme di "realtà" oppositive, o di differenze, divenendo organizzazioni di proiezioni cognitive.
 
 



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Das weiße Blatt
 
 

La pagina blanca
 
 

Stéphane Mallarmé











Chapitre 4

INTERVIEWS

Rendez-vous avec M.me Madeleine Van Doren - Art Director de la Galerie Fernand Leger et du Credac Ville D’ivry, Paris - France

par Angelo Ermanno Senatore
 
 
 
 
 
 
 
 

Après un début "gaffeur" et post-duchampien, qui trahit déjà le refus des "individualismes" et des étiquettes, l’interviewer questionne sur le CREDAC, son histoire, ses commencements, ses antécédents...
 
 

Madeleine Van Doren: D’un point de vue littéral, CREDAC veut dire: Centre de recherche, d’échanges et de diffusion de l’art contemporain. Vous parliez tout à l’heure du fait que vous aimez bien être sans étiquettes; en fait, il faut dire que le centres d’art en France ne sont pas tous identiques; ils ont une histoire différente les uns des autres, ils ont des implantations géographiques socio-économiques complètement distinctes qui tiennent compte du contexte... L’activité artistique et culturelle de la municipalité d’Ivry remonte déjà à la fin des années ‘60, début des années ‘70, où on organisait des expositions dans des lieux pas spécifiques de l’art. Ensuite en 1980, la Commune a racheté les locaux où nous sommes actuellement (locaux construits pour y faire des salles de cinéma; le projet abandonné, les lieux ont été inutilisés pendant presque dix ans) pour y aménager la galerie Fernand Leger, ainsi nommée pour rendre hommage à l’artiste dont quatre grands panneaux décorent le hall de la Mairie de la ville.

Les premiers expositions ont eu lieu en 1984, soutenues également par la politique de décentralisation operée dans les mêmes années par le Ministère de la Culture dans le but de favoriser la fondation et l’amélioration des centres d’art déjà existants. L’espace, aujourd’hui, appartient encore à la Mairie, mais il est aussi aidé par le Conseil général et départemental, et en plus par l’Etat.

Angelo Ermanno Senatore: D’ailleurs, la Mairie d’Ivry, sans parler de la connotation politique, quand même de gauche, a toujours montré un intérêt remarquable pour la culture, dans toutes ses formes...

M.V.D.:C’est vrai; il faut souligner qu’il y a aussi une autre histoire d’Ivry, et très importante, au niveau théâtrale. Quand Antoine Vitez (et ça appartient à l’histoire théâtrale française), à Ivry, au début de son œuvre, ne désirant pas un lieu de théâtre classique, répresentait ses pièces dans des gymnases, des piscines, des écoles; encore des lieux "nomades", où il a travaillé pendant dix ans. Puis, au moment de partir (ensuite, il a été directeur du théâtre de Chaillôt et membre de l’Academie française) il a créé, comme pour laisser une trace de son passage, "le théâtre de quartier d’Ivry".

A.E.S.: Donc, à partir de ‘68, d’abord avec la galerie Fernand Leger, puis en ‘72 avec Antoine Vitez et son théâtre de quartier, et, maintenant avec le CREDAC de Madeleine Van Doren, Ivry, ville d’art et de culture...

M.V.D.: Egalement dans d’architecture de la ville on peut retrouver le même élan qu’on a pu remarquer dans l’art et toutes ses manifestations; avec l’œuvre de Jean Remody, dans la construction d’un habitat très pointu et très original pour l’époque. Et sur cette même vague, l’Office d’HLM à Ivry a construit plusieurs ateliers d’artistes, ce qui a rendu la ville encore plus dynamique et active côté arty.

A.E.S.: J’ai remarqué, dans votre activité, l’attention réelle que vous portez aux artistes, même étrangers (également si on est tous étrangers d’ailleurs...), et que chez vous les ateliers deviennent des espaces vivants où on donne aux artistes la possibilité de se faire connaître à l’extérieur... Pour informer nos lecteurs europèens, pourriez-vous en dire davantage?

M.V.D.: Les artistes qui veulent venir ici nous contactent à titre individuel, ils montrent leur travail; le choix bien sûr est fait par rapport à l’intérêt que je porte à leur œuvre.

A.E.S.: Ils participent aux activitées...

M.V.D.: Bien sûr, ils se mêlent à la vie du Centre, on leur donne des conseils, pour rencontrer des personnes, voir des galeries; des liens se créent... parfois je leur propose une expo au CREDAC, soit personelle, soit collective, mais ce n’est pas systématique.

A.E.S.: La programmation de chaque année prévoit un certain nombre d’artistes français et étrangers...

M.V.D.: Je ne décide jamais à l’avance; c’est au fur et à mesure que je connais les artistes, que je suis leur travail; il n’y a aucune règle précise...

A.E.S.: Ça dépend donc du "materiel" humain et poétique...

M.V.D.: et financier, c’est l’ère de la guerre...

A.E.S.: Et en ce qui concerne les rapports avec les artistes de la ville?

M.V.D.: La ville d’Ivry organise des "Portes Ouvertes" qui s’appellent "Plein feu sur Ivry", les prochaines au mois de septembre. La ville facilite la communication... elle fait savoir que tous les artistes ouvrent leurs ateliers... il y a des plans qui sont donnés... etc. etc. ... Evidemment je visite les ateliers à l’occasion des "portes ouvertes", mais pas tous, parce que ce n’est pas possible les visiter tous en deux jours. De temps en temps je fais un choix et j’expose un artiste des ateliers de la ville, mais ce n’est pas une règle, c’est parce que je m’intéresse à son travail...

A.E.S.: Comme en Italie il y a le pouvoir de la critique, ici en France il y a le pouvoir des institutions; mais il n’y a pas toujours un réel suivi du travail individuel de l’artiste de la part des responsables préposés...

M.V.D.: Je visite beaucoup d’ateliers, pas seulement à Ivry; mon objectif c’est d’être d’abord dans les ateliers, de rencontrer les artistes et de suivre leur travail, ça peut aboutir à des expo, ou pas; jusqu’à présent, je n’ai jamais exposé des artistes dont je ne connaissais pas réellement l’atelier; à mon avis c’est là que les choses naissent; c’est là où elles se fécondent; c’est là aussi où il y a une relation extrêmement privilégiée entre l’artiste et la personne qui visite; je ne fais jamais de visites accompagnées, je préfère être seule avec l’artiste, parce que c’est un dialogue personnel, et ça ne peut pas être autre chose.

A.E.S.: C’est déjà un grand travail, l’important c’est vraiment de le faire. En tout cas, il y a une ligne? Choissez-vous entre l’abstrait, le figuratif, le conceptuel, l’installation, et ...bla-bla-bla?

M.V.D.: Je n’ai pas de ligne, pas d’étiquettes. Je suis extrêmement curieuse. Je réagis à ce qui m’accroche et j’essaye d’être la plus large possible dans mes choix; aussi parce que j’ai une fonction de service public et je dois offrir un maximum de choses. Parfois on me dit que je n’expose jamais de l’art figuratif; je ne le fais parce que en ce moment je ne trouve pas dans la peinture figurative des choses qui me semblent aller vers des perceptions nouvelles... Je propose des choses que moi-même j’ai bien assimilées, pour bien être capable de les defendre. Pour pouvoir faire partager aux autres, il faut être convaincu soi-même. Voilà.

A.E.S.: Pour mieux expliquer votre pensée, on pourrait dire que vous cherchez quelque chose qu’on pourrait définir "méta-peinture". Sans règles, sans étiquettes, au-delà des "avant-gardes", des "post-avant-gardes", etc. etc.

Voulez-vous ajouter encore quelque chose sur votre ligne-non ligne culturelle?

M.V.D.: Je voudrais parler encore des séances multi-média organisées au CREDAC et ouvertes à tout le monde. Il s’agit de manifestations pluri-disciplinaires où des artistes, toujours des plasticiens, se confrontent avec d’autres formes d’expressions artistique, ou ils travaillent avec des artistes de domaines différents.

Dernièrement j’ai collaboré aussi, niveau production, avec un cinéaste qui a tourné un film a Villa Medicis, à Rome.

A.E.S.: Bien, ça nous donne la possibilité de faire des comparaisons entre la France et l’Italie, en ce qui concerne la manière de "fonctionner" au niveau culturel des deux pays...

M.V.D.: Personellement j’adore l’Italie, j’ai beaucoup d’amis italiens et quand je suis en Italie j’ai l’impression d’être chez moi, mais c’est vrai que c’est un fonctionnement complètement different; le privé est très actif, contrairement à la France où tout est institutionalisé; et c’est pour ça que parfois une collaboration entre une institution française et l’Italie devient si complexe...

A.E.S.: Vous etiez à Rome...qu’est ce que vous avez perçu de l’atmosphère de collaboration entre les artistes français et les artistes italiens?

M.V.D.: Je suis restée très peu de temps, en plus je travaillais avec les artistes français de la Villa Medicis, mais au-delà de ça, j’ai remarqué qu’il n’y avait pas du tout de relations entre les artistes romains et les artistes français. J’ai trouvé très étrange que les artistes français qui résident à la Villa Medicis n’aient aucun contact avec l’exterieur; ils vivent comme dans une tour d’ivoire; peut-être c’est aussi l’emplacement de la Villa Medicis qui contribue à cette atmosphère...

A.E.S.: Quelle est, au contraire, l’atmosphère des éditions du CREDAC?

M.V.D.: L’édition chez nous c’est un ouvrage qui n’est jamais identique à chaque exposition. On essaye d’en faire une trace la plus voisine possible de l’expérience qui a été menée avec l’artiste. Elle veut être surtout le témoignage du lien entre l’artiste et l’"exhibition" qu’il a présentée dans les lieux. Je tiens beaucoup à souligner cet esprit-là...

A.E.S.: Et les rapports avec les critiques?...

M.V.D.: On les informe, on les reçoit, ils font ce qu’ils veulent...

A.E.S.: Vous organisez aussi des débats avec les critiques d’art, les artistes, le public?

M.V.D.: Non, par contre, ce qu’on a organisé plusieurs fois, c’est "La Revue des Revues". Des rendez-vous avec des gens qui éditent des petites revues, pas trop connues, très confidentielles; on discute, on se confronte...

A.E.S.: Au niveau personnel, intime, il y a eu un artiste, qui vous a interessé particulièrement?

M.V.D.: Pour moi, ils ont tous autant d’importance les uns que les autres; à partir du moment où je les choisis et que j’ai envie de vivre quelque chose avec eux (et, en général, je vis une chose intense, pendant que je travaille avec eux), chaque instant c’est un instant privilégié... chacun avec sa personnalité.. ses inquiétudes... ses sérénités...

A.E.S.:Un rapport au-delà des institutions...

M.V.D.: Complètement... d’habitude, les artistes avec lesquels j’ai travaillé restent très fidèles; ils viennent me voir régulièrement, ils me tiennent au courant de leur parcours...

A.E.S.: Donc, un bon rapport avec l’art contemporain...

M.V.D.: Je vis l’art contemporain très, très bien; je n’ai pas de scepticisme; au contraire, je suis ravie de vivre cette période plurielle, problématique, ambiguë.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Al Di Là del Segno"

Intervista con Anish Kapoor

di Marjorie Allthorpe-Guyton
 
 
 
 
 
 
 

MAG: Negli anni settanta certe sue installazioni sembravano dare ritualità allo spazio ed evocavano sensazioni attinenti al corpo e alla sessualità.

AK: C’è un mio lavoro del 1973-74 che è determinante per quanto è venuto dopo. Lì il corpo era considerato come un’entità cosmologica che racchiude in sé un’immagine dell’universo.

MAG: Il disegno ermafrodito a gessi sul pavimento?(1)

AK: Si. In quell’installazione identificavo le parti maschili e quelle femminili come forme elementari, come sfere e cubi. Essi vennero poi a creare una specie di linguaggio in opere successive, come ad esempio 1000 Names (1000 nomi).

MAG: C’erano riferimenti a Beuys e all’Arte Povera e, forse anche più apertamente, a Duchamp. Il suo lavoro attuale riflette ancora questa eredità europea?

AK: A me non interessa il Duchamp dell’objet trouvé, il ready made, ma il Duchamp di due particolari opere: La mariée mise à nu par ces célibataires, même(2) soprattutto per le associazioni alchemiche, e Etant donnés che io considero sublime. Guardando attraverso il buco della serratura si diventa gli scapoli, e così facendo l’opera viene compiuta. È questo rituale di congiunzione e opposizione che mi attrae.

MAG: Lei ha paura dei titoli?

AK: Ovviamente no. Penso che i titoli siano davvero importanti. Duchamp ha affermato che il titolo è la parte più importante dell’opera: aveva ragione. Dal momento che io non credo che si possa fare arte astratta, quando si mette al mondo un’opera è vitale darle un nome.

MAG: Alcuni sostengono che l’esperienza artistica è trascendente e altri sono convinti che la trascendenza è possibile solo attraverso la grazia divina.

AK: In questi termini capisco come Yves Klein abbia avuto la necessità di fare il salto nel vuoto metafisico.

MAG: Vogliamo parlare del vuoto?

AK: Il vuoto non è altro che uno stato interiore. Ha molto a che fare con la paura in senso edipico, ma assai più con il buio. Non esiste nulla né di più buio né di più nero interiore. Sono consapevole della presenza fenomenologica delle opere del Vuoto, ma sono altrettanto consapevole del fatto che l’esperienza fenomenologica da sola non è sufficiente. Sto ritornando all’idea di una narrativa senza racconto, quella che permette di introdurre la psicologia, la paura, la morte e l’amore nel modo più immediato possibile. Questo vuoto non è una cosa inarticolata, un non-spazio: è uno spazio potenziale.

MAG: Alla recente mostra della Lisson Gallery Void Field (Campo Vuoto) e Angel (Angelo) davano l’impressione di essere un’installazione unica, non due opere separate. Angel suscita un effetto molto strano perché il blu crea un’immagine illusoria e nello stesso tempo è un pesante pezzo di ardesia. C’è dunque una dialettica fra l’immagine e la solida presenza materiale. E poi i blocchi di Void Field sono un’inamovibile presenza fisica, eppure ci si rende conto che sono vuoti.

AK: La mia intenzione non era quella di creare un’opera sulla massa e la non-massa. Nelle pietre bucate di Void Field ho cercato di rendere l’idea del cielo che è racchiuso entro la terra -. Angel rappresenta un’altra trasformazione: dalla terra al cielo. Entrambi si ricollegano anche ai primi lavori con colori e polvere che erano legati ad un’altra antitesi fondamentale, quella maschio-femmina. Nel contesto in cui erano collocati alla Lisson Gallery, Void Field e Angel formavano un’opera unica. Il tema di entrambi è quello della trasfigurazione. Questo è un tema essenziale.

MAG: Un tema cristiano?

AK: Be’, si, è certamente un tema cristiano, ma penso che costituisca l’essenza di qualunque filosofia. In quasi tutte le religioni esiste la nozione di trasfigurazione del corpo nello spirito. Ci sono chiari paralleli alchemici che traggono origine dal cristianesimo e dall’ebraismo, ma penso che i paralleli con il buddhismo e l’induismo siano altrettanto evidenti. Costituisce anche l’immagine fondamentale dell’islamismo. La Kaaba, alla Mecca, è un cubo che nel centro racchiude un meteorite.

MAG: Un nodo, un fulcro d’energia?

AK: Esatto. C’è anche un rapporto, in termini di pura forma, fra il cubo e il cosmo, fra l’umano e il divino. Ma lasciamo da parte il misticismo: è una cosa intima e privata che non si può sbandierare. Quello che invece importa è sapere che le opere sono manifestazioni, segni di una condizione dell’essere.

MAG: Uno stato di continuo mutamento, dunque?

AK: Precisamente. Come metafore di una condizione del divenire.

MAG: Così non c’è nulla di fisso, nulla che abbia un’identità assoluta, nulla che possa essere visto come simbolo?

AK: Cerco di evitarlo. Quello dell’illusione è un punto davvero nodale per me. E’ qui che mi trovo curiosamente a partecipare della pittura, nel senso che lo spazio della pittura è lo spazio dell’illusione e che la mia scultura sembra essere scultura dello spazio che si trova dall’altra parte, dello spazio illusorio.

MAG: Lei pensa che farà sempre uso di pigmento pittorico?

AK: Questa è una domanda impossibile. non so proprio cosa risponderle. il colore ha la capacità di trasformare le cose, di farle diventare altre cose. Ha un valore metaforico immenso, e questo mi interessa enormemente.

MAG: Che cosa intendeva fare in opere come 1000 Names, con le aureole di polvere colorata sul pavimento? Era un modo per indicare, come avevano fatto gli espressionisti astratti, le forze che danno forma alle cose, la necessità di distruggere la forma per poter poi ricostruire?

AK: Si. Il pigmento pittorico una forte materialità. L’atto di applicarlo sugli oggetti toglie a questi ogni traccia della mano umana. Non sono più manu-fatti, sono semplicemente lì.

MAG: È intenzionale per lei nascondere i segni della fattura, per creare cose che abbiano un aspetto "naturale"?

AK: Questa non è la parola che userei io. Preferirei parlare di oggetti "autogenerati", che si sono creati da sé. Questo si ricollega al tema dell’Origine e dell’idea che l’opera ha una sua realtà, indipendente da me.

MAG: In che misura e fino a che punto è necessario per lei avere le mani a diretto contatto con l’opera che compie? Nei recenti lavori in pietra da chi è stato fatto tutto il lavoro di scavo?

AK: Parlo molto poco della lavorazione, non perché voglia mantenerne il segreto, ma perché non è una cosa importante. La manifattura, benché sia di capitale importanza per l’attività, non ha nessun significato per l’opera.

MAG: Questo suo atteggiamento verso la fattura non è forse un rifiuto dell’ethos minimalista? Eva Hesse parlava della propria opera come di un altro tipo di sistema.(3) Questo mi pare richiami quell’affermazione, molto spesso citata, che lei fece nel 1981 quando disse : "Io non voglio fare della

scultura che abbia come oggetto la forma... voglio fare della scultura che per oggetto abbia il credo, o la passione, quell’esperienza che è al di fuori delle preoccupazioni materiali(4). Questo indica la negazione di una progressione lineare di stile, in cui una cosa soppianta l’altra.

AK: La materia essenziale di cui si deve occupare l’arte non cambia, ma ci sono molti modi diversi per avvicinarla. La maggior parte di quel che faccio io è dal davanti, cioè frontale. Di lato non si ha praticamente nessun’altra esperienza dell’opera. Questa è la funzione di tutta l’arte iconica. Non è possibile mettersi dietro le spalle di Dio. Penso che questa sia una bella idea.

MAG: Ora si parla più che mai della dimensione spirituale dell’arte.

AK: Se ne può davvero parlare? Questo è davvero un progresso!

MAG: Si è dato molto rilievo alla sua origine indiana e al suo interesse per la filosofia orientale, la quale fa naturalmente anche parte della tradizione culturale inglese, da Blake a Yeats fino a molti artisti e scrittori contemporanei.

AK: Sono indiano. Ma ridurre tutto a termini di nazionalità è limitativo. Non mi considero un artista indiano neanche un artista inglese. Sono un artista che lavora in Gran Bretagna. All’opera si deve guardare dal lato più ampio possibile. Se riconosciamo che la cultura occidentale è in crisi, vediamo che ci sono delle manifestazioni che mettono in evidenza questo fatto. Per esempio, la decorazione nell’arte indiana è inscritta entro una visione filosofica del mondo. Riguarda l’abbondanza, la fecondità ed il mondo come unità generativa. In occidente, tolta dal suo contesto, diventa puramente ornamentale, non c’è nessun altro modo di trattarla. Tutto questo però cambierà. Entro il 2000 in Europa ci saranno circa 50 milioni di non europei. C’è da augurarsi che definiscano un’arte nuova che si affermi con forza nella corrente principale.

MAG: E che cambi radicalmente i nostri attuali concetti di razza e di cultura?

AK: Si. E che ci faccia uscire dalla crisi del post-modernismo.

MAG: Si direbbe che le sue opere debbano anche qualcosa a quella tendenza che Lucy Lippard aveva riscontrato nelle opere di varie artiste che avevano partecipato alla mostra da lei stessa organizzata nel 1966, Eccentric Abstraction(5). La sua visione aperta dell’Origine e della Donna va contro la maggior parte della filosofia occidentale, in cui la misoginia è molto accentuata.

AK: Le donne incutono molta paura. Il pensiero indiano lo ammette apertamente: la dea Kali personifica la forza terribile della madre. Il punto, momento dell’origine, sia come concetto di inizio che come modo per capire la mia stessa creatività, costituisce una parte essenziale della mia opera. Gran parte delle immagini che ho usato è femminile. Come artista sono consapevole che il mio estro, la parte inventiva del mio essere, è femminile. I miei primi lavori con pigmento pittorico, White Sand, Red Millet, Many Flowers (Sabbia bianca, miglio rosso, molti fiori) e To Reflect an Intimate Part of the Red (Per riflettere un’intima parte del rosso), riguardano l’origine del femminile. È come se stessi scoprendo il femminile in me stesso. Ho riconosciuto in me questa realtà e questo mi permette di avvicinare altre cose. Trovo che questo mi dà un’immensa libertà.

MAG: I materiali che lei sceglie, la fibra di vetro, l’arenaria, l’ardesia non tagliata ed ora anche il carbone e specialmente il pigmento grezzo hanno il duplice effetto di attrarre e di tenere a distanza. Nella sua opera c’è dunque un elemento di impersonalità, di non soggettività?

AK: Mi interessa mantenere le distanze. Per me è chiaro che la mia opera è diversa da me, distaccata da me. in ultima analisi, anche se dico di non credere che dare libero sfogo all’inconscio sia una valida forma di espressione di sé, in un modo o nell’altro quello che ne risulta sembra legato a una serie di realtà innate che ci si portano dentro. Ma ritengo che sia ben diverso dal proporsi di dire o di esprimere qualcosa di specifico.

MAG: In uno dei suoi recenti lavori, Black Fire (Fuoco nero), il linguaggio figurato è fortemente sessuale.

AK: Si, ma qui si tratta anche di un posto, di un luogo di passaggio. Questo è un termine di riferimento molto significativo per quanto riguarda una certa preoccupazione ebraica a proposito della porta, del passaggio e del "posto". di recente ho visto oggetti di arte ebraica dell’impero ottomano, una serie di teli che venivano usati per coprire la Torah, (il Pentateuco) nella sinagoga. Sono teli da porta. Hanno un centro monocromo e dei ricami leggeri di simboli ebraici, come l’albero della vita. Ma la cosa importante è che la loro funzione originaria era quella di essere dei copriletto. Ecco quindi questo legame fra la casa, il letto e la divinità.

MAG: La nascita e la morte?

AK: La nascita e Dio

MAG: Questo ci porta assai lontano da Ad Reinhardt, da quel rifiuto del contenuto trascendentale. "nessun’angoscia, nessun supernaturalismo, nessuna ispirazione divina e nessuna traspirazione quotidiana"(6).

AK: Ma anche le opere di Reinhardt sono palesemente ricche di riferimenti e di contenuti. Constatiamo che lo svuotamento è un riempimento. La domanda cruciale è: qual è il contenuto?

MAG: La sua opera sembra generare molteplici significati, implicare che non esiste un’unica voce. In questo lei si avvicina moltissimo a Barnett Newman che aveva scritto che "nell’arte il segreto unico non esiste?"(7)

AK: Non credo in nessun punto di vista particolare nel senso di verità assoluta.

MAG: La sua opera è davvero monumentale. In Black Fire la quantità di carbone è talmente enorme che la materia di per sé stessa ha un effetto poderoso. Non le sembra un pericolo?

AK: No. La scala di grandezza è una componente essenziale del contenuto. Un mucchietto di carbone non ha lo stesso significato di una grossa catasta. Un elemento fondamentale della mia opera è che le dimensioni sono sempre rapportate al corpo umano. Nelle opere con pigmento pittorico che vanno dal 1979 al 1983 tra gli oggetti si era venuto a creare un senso di ambientamento, di posto. Questo posto si è ora spostato all’interno dell’oggetto, ed è stato quindi necessario cambiare l’ordine di grandezza. Lo spazio interiore è uno spazio mentale-corporeo. Un tempio unico per un’unica persona.

MAG: Una delle sue opere recenti, Tomb (Tomba), ci ricorda in maniera molto eloquente, quasi un ammonimento, che tutti dobbiamo morire, mentre parecchia dell’arte recente è simile al kitsch che vuole imitare: un oppiaceo, una panacea.

AK: Forse anche l’oggetto contemplativo è una panacea. Alla fin fine l’arte non fornisce alcuna risposta, non sostituisce, non può sostituire l’esperienza religiosa. Può forse, se ha qualche merito, porre eloquentemente certe domande.

  1. Vedi Lynne Cooke 'Mnemic Migrations', Anish Kapoor, Kunstnerness, Oslo, 1986, p.8, fig. 1
  2. Vedi John Golding, The Bride Stripped Bare By Her Batchelors Even, Penguin, London 1973
  3. Eva Hesse citata da Lucy Lippard, Eva Hesse, New York University Press 1976 p. 200. Vedi anche Marjorie Allthorpe-Guyton, 'Original Sites/Anish Kapoor's Artscribe, No. 81, May/June 1990
  4. Anish Kapoor, objects and sculpture, ICA, London: Arnolfini, Bristol 1981, p. 20, citato da Cooke, op.cit., P.13
  5. Lucy Lippard, From the Center, Feminist Essays on Women's Art, R.P. Dutton, New York 1976 p.49. Lucy Lippard cosi' descrive alcuni elementi di quest'opera: 'una densità uniforme o una generale consistenza, spesso sensualmente tattile e ripetitiva…, la maggiore importanza delle forme circolari, di un punto focale, dello spazio interno'. Vedi anche Robert C. Morgan 'Eccentric Abstractions and post Minimalism', FlashArt,n.144, January/February 1989, pp. 73-81(
  6. Ad Reinhardt, "Abstract Art Refuses" 1952, citato da David Batchelor 'Abstract Refuses, Notes on LeWitt and Reinhardt, Artscribe, n.80, March/Avril 1990, p.62, nota I
  7. ;Barnett Newman, Tiger's Eye, October 1949, citato da Ann Gibson in 'Retracing Original Intentions, Barnett Newman and Tiger's Eye', Art International, Winter 1988, p.14
(dal manifesto-catalogo di Anish Kapoor per la XLIV

Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, estate 1990)


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Bella Freud

by Robert Henry Rubin
 
 
 
 
 
 

Bella Freud, designer. Bella Freud born in London, England in 1961. Bella Freud’s father: Lucien Freud, figurative Painter. Bella Freud’s mother: Bernadine Coverley. Bella Freud’s great-grandfather: Sigmund Freud, psychoanalyst. Bella Freud’s sister: Esther Freud, actress/author (Hideous Kinky, Peerless Flats, Summer At Glagow). Bella Freud, when six years old, with mother & sister, relocated to Spain & Morocco - Bella Freud learned to read/write Arabic. Bella Freud, when eight years old, returned to England. Bella Freud educated at Michael Hall School (Rudolf Steiner school) in Sussex from 1969 to 1978. Bella Freud, when sixteen years old, left home, moved into flat off Edgeware Road in London. Bella Freud attended (studied art, French, English) City And East College London College Of Further Educations for one term. Bella Freud travelled to Mustique & St. Vincents. Bella Freud returned to London, England. Bella Freud performed in rock band. Bella Freud attended acting workshops. Bella Freud worked as Stage Manager for Black Theatre Co-Operative. Bella Freud worked in art gallery. Bella Freud frequented nightclubs. Bella Freud cut Bella Freud’s waistlenght hair. Bella Freud worked in Vivienne Westwood/Malcom McLaren punk clothes store (Seditionaries). Bella Freud, when twenty years old, relocated to Italy for three years - Bella Freud studied fashion at Accademia Di Costume E Moda & Istituto Mariotti in Rome. Bella Freud designed shoes & knitwear for friends/private clients. Bella Freud, returned to London, worked as personal assistant to Vivienne Westwood from 1986 to 1989. Bella Freud launched fashion label Bella Freud in 1990. Bella Freud won New Generation Innovative Design Award for debut collection in 1991. Bella Freud first presented runway fashion show in London in 1992. Bella Freud collaborated with Staff International to produce/manufacture/distribute The Bella Freud Collection since 1997. Bella Freud lived with James Fox, author ("White Michief"), in West London, England in 1998.
 
 

Bella Freud Company: 48 Rawstorne Street, London, EC1V 7ND, England, Telephone: +44-171-713-6466, Fax: +44-171-713-6477.
 
 
 
 

NIGHT: When did you become aware of the subconscious mind?

FREUD: I have always felt passionately about almost anything that I have ever been interested in, ever since I was tiny. Probably, about the time I understood about the subconscious, I can’t imagine it as coming as a terrific surprise. But it is hard to say because it goes on and on, that kind of thing. Making more sense as one gets older and thinks about what actually feels like the subconscious or not. When I was little I always had real passions with things, and obsessions with things, so it didn’t feel like anything was that superficial anyway. So I don’t know. I don’t have any memory of some blinding revelation to do with that. But, probably, I suppose, when I was about twenty five. I don’t really know that much about the subconscious. Only no more than the next person.

(...)

NIGHT: Do you remember your dream from last night?

FREUD: God, yes! I certainly do. I had the most awful dream. I dreamt my show was taking place, and I didn’t realize that it had started, and that we hadn’t got a producer, and no one had told me, and no one had chosen any models, and somehow nothing had been organized, and I hadn’t even seen any of the clothes. So I was watching bits of the show, or looking at some of the clothes, and they were really good but I didn’t remember ever doing them. (...)
 
 

The conversation goes on in the same wave...

If you are really interested in the complete interview, see NIGHT Art Magazine N° 39 - Suite 235, The Gershwin Hotel, 7 East 27 Street, New York, New York 10016
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Chapitre 5

IPOTESI

Arte fuori delle Regole

di Anna Maria Corbi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Cos’è l’arte, se non proprio la "forma" il più possibile perfetta delle esperienze e dei sentimenti umani? Dove, per forma, s’intende la "bella forma". Dove, la perfezione consiste nell’avvicinamento progressivo al massimo dell’astrazione. Dove, l’astrazione è quel saper usare la realtà, gli eventi e le passioni, con modi privi di realtà, di effettualità, affettuosità.

Tanto più è arte, quanto più si distacca dalla contingenza, per elaborare un fieri, un essere con proprio dinamismo, che è uno con lo spirito, uno con l’ideale, uno con l’assenza. L’arte è tanto più autentica, quanto più, nella "maniera", che è il suo divenire, sfronda gli eccessi dell’umana partecipazione e si scorporizza.

Esiste una identità tra "virtuosità della maniera", che, ovviamente, non scada nella pedissequa ripetizione delle regole, e "purezza attrattiva" dell’idea ispiratrice. Gli esempi sono tanti e così diversi da sembrare di poter giungere fino a cancellare tale "unità" e ad annullare la sua identità. Il che, in verità, non accade mai. Non esiste "arte", dove sia in qualche modo carente la "maniera".

Per esempio, c’è il caso di quei pittori, che assumono modi ingenui e primitivi, i quali sembrerebbero negare ogni possibile virtuosismo. Il che è vero solo in apparenza e, per capire, si tenterà di spiegare cosa si intenda per "virtuosismo della maniera", quando si raggiunge, in che cosa si caratterizza.

Sembra ovvio concludere che si raggiunga qualora subentri una totale identità tra ispirazione e abbandono al fare tecnico, ogniqualvolta all’intuito ideativo si integri la conformità dell’esecuzione, acquisita, quest’ultima, con l’esercizio. L’abilità infatti, allorché giunge a grande bravura, prescinde dalla determinazione cosciente e si realizza per un processo "automatico" di germinazione spontanea, frutto dell’esperienza.

L’arte richiede, inoltre, insieme ad un totale distacco dai limiti imposti dal tempo, anche una libertà da quelli dello spazio percepibile fisicamente, e, infine, una semplicità, una spontaneità, che, appunto, consiste nell’eseguire ciò a cui si mira, senza intervenire -limitatamente alla coscienza- per indirizzare o contrastare il suo naturale processo evolutivo.

La tecnica dell’arte è, dunque, un radicalizzare la virtù pratica a favore di un’esperienza dinamica complessa, non individuale ma

universale, non privatistica ma pubblica.

Ora, i modi primitivi, così come vengono, spesso a torto, riassunti, sembrerebbero negare questa "abilità" ad essere condotti senza alcuna maniera. Ma, se si rilegge cosa si intenda con questo termine "maniera", si comprende subito che è così interamente legata all’ispirazione poetica, da mutare segni e idee in forme naturali, così da giustificare l’attributo di artistico a produzioni povere di artificio.

Si, perché per quella solo apparente semplicità, è indispensabile il controllo su prodotti realizzati, come sul "se stesso" dell’ideatore-artefice, e nulla di quel vano compilare accademico- rispettoso fino alla noia dei limiti di tempo e di spazio- che tanto affascina la vanità della cultura superficiale dell’arte.

Anche l’ingenuità -che poi non è ingenuità nel senso comune-, anche il primitivismo -che è termine ben più complesso di quel che si creda-, hanno autorità. Ma, certo, l’autorità che loro appartiene, è quella che discende non dall’avere, ma dal non avere, quanto di accessorio e in eccedenza può fino all’incommensurabile essere aggiunto all’arte.

Che cosa è, dunque, quella passione che più appartiene all’arte, se non quella della rinuncia, la rinuncia all’abilità ricercata, la rinuncia ad ogni calligrafia di comodo, a quegli accademismi così facili da leggere e riconoscere, in nome, invece, di una essenza delle cose, ottenuta non con una abilità sotto controllo cosciente -e dunque limitata nello spazio e nel tempo-, ma grazie ad una espressione e ad una realizzazione nate dalla "libertà".

Se si paragona l’arte del più colto degli artisti a quella più primitiva, ci si avvede che esse possiedono un unico comun denominatore: la determinazione del solo principio elettivo, la volontà esplicita di dire l’essenziale, la rinuncia ad ogni cedimento di fronte alla rappresentazione del superfluo.

Tale constatazione è la miglior esemplificazione teorica che si possa dare del "non finito", inteso in qualità di concretezza dell’arte fino alla comunicazione dell’errore, che è ciò che paradossalmente ci commuove ed affascina.

L’arte primitiva, come quella più colta, poggia sul tema della "rinuncia", ma l’arte primitiva rinuncia non al più, ma al meno, non a possibilità di realizzo superiori, ma a quelle minori, ovvero, con caparbio coraggio rinuncia ad omologarsi al tempo, al luogo, alle maggioranze, al potere -qualsiasi aspetto abbia- per cercare una verità assoluta e sincera fino alla morte, alla
morte dell’arte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Chapitre 6

CHIACCHIERICCIO CON I MAESTRI
 
 

Carlo Belli
 
 
 
 
 
 
 
 

Caro Marco Fioramanti,

con il capo cosparso di cenere, mi faccio vivo dopo mesi di silenzio, sordo a vari, affettuosi richiami.

Come può avvenire ciò? La calura romana di questa immensa estate? Qui abbiamo una minima di 18 gradi e una massima di 35; (ieri -18 agosto - a Berlino avevate una minima di 12 gradi e una massima di 22. Una bella differenza). E’ dunque la calura che mi rende fiacco al punto di togliermi ogni attività, compresa quella di corrispondere con gli amici? E prima? Quando si godevano temperature primaverili? ... No. Il caldo non c’entra. E’ tempo di confessare.

Il "trattismo" (che brutta parola) non mi va giù. Non lo inghiotto. Non ci credo. Non avevo coraggio di darvi questo dispiacere. Né mi porta lumi Eva Rachele Grassi con la sua testimonianza scritta in critichese arganiano, gergo che mi sono sempre rifiutato di accettare, inzuppato di un risucchio ermetico che toglie ogni poesia alle intenzioni del testo.

Quanto al <pezzo> lirico con il quale Marco vorrebbe farci rientrare in una dimensione ancestrale, mi pare che il suo sforzo rimanga sul piano letterario senza riuscire a darci una equivalenza pittorica.

Caro Marco, comporre uno sfondo bellino, quasi visione impressionistica, e subito sgarbellarlo villanamente con quattro freghi color carbone, credi, non è nemmeno una "trovata". Tuttalpiù una moda effimera destinata a essere consumata e distrutta dal tempo. Nel Dialogo della Moda e della Morte, il sempre più grande Leopardi ha scritto pagine indimenticabili sulla identica funzione dell’una e dell’altra. Così il trattismo: nel migliore dei casi una moda destinata ad essere consunta e consumata in breve tempo. Che ne è dei "tachisti" e simili profeti? Spazzati dal tempo come briciole secche.


Vorrei che il mio caro Marco e la compagnia che lo segue, meditassero insieme questo mio vecchio assioma: L’Arte se è vera arte, non può essere che sublime follia, ma guai se da questo stato sconfina nella demenza. E vi è di più: i grandi capolavori sono grandi perché espressi in una forma luminosa. Spesso questa forma non è che la 5 - 1 = j

2

Uomini, animali, vegetali sono immancabilmente stupendi quando vivono in questo rapporto. Tanto più il grande artista assegna alla sua fantasia questi armoniosi, ineffabili confini. Rileggete il grande romeno Matila Gyka (e del resto, anche il primo Le Corbusier: non l’ultimo, per carità), e meditate sul quel testo iper-lucido. Siate folli, non dementi!

Ancora una precisazione: quel giorno della vostra presentazione a Roma, io stavo attentissimo, pronto a intervenire in vostra difesa contro chi vi avesse attaccato senza avere le carte in regola. Questi interventi in nobilissima malafede sono sempre necessari contro i cretini che insorgono in nome di una platitudine bovina e pecoreccia. A costoro io avrei detto che i "trattisti" sono superiori a Giotto e a Piero della Francesca. Li avrei zittiti così.

Ho sempre fatto così in nome di una dialettica morale, la quale ha per fondamento l’assioma: prima di negare un fatto, bisogna essersi conquistato il diritto di negarlo. Ora, dopo sessant’anni e più di attività nel campo della critica più rovente, credo di essermi conquistato il diritto di esprimere un giudizio su certi fenomeni attuali. Diritto che nego agli sprovveduti.
 
 

Caro Marco Fioramanti, sono spiacente, creda, di non essere con voi: mi siete molto simpatici e tanto più deploro che la mia etica m’impedisca di essere "trattista". Vede in che modo barbaro rispondo alle Sue cortesie! Ho ricevuto la foto di Nurbergerstrasse 25. E’ stato un sussulto per me. Spero che questa lettera non interromperà la nostra corrispondenza, e La prego di ricordarmi ai "trattisti" quand-même!
 
 

Gradisca un abbraccio dal suo

Carlo Belli
 
 

Roma 18 agosto 1986
 
 
 
 

Bruno Zevi

Stoccolma, 1 aprile 1987

Carissimo Professore,

queste righe Le arrivano dall’Istituto Italiano di cultura di Stoccolma che ha invitato una delegazione del Movimento Trattista per un’esposizione dei suoi lavori, performances e seminari sulla poetica trattista.

Come d’accordo Le invio alcune domande - elaborate insieme a Claudio Bianchi - che saranno poi oggetto di una pubblicazione (rubrica "Le interviste") sul nostro organo di diffusione "POST" di maggio.(1)

La ringrazio in anticipo per le sue risposte che pregherei di inviarmi al mio indirizzo di Berlino. (...) Le augurano un buon lavoro e Le inviano distinti saluti tutti gli artisti presenti a Stoccolma: Claudio Bianchi, Marco Fioramanti, Ermanno Senatore - pittori, Christiane Kluth - danzatrice, David Thompson - musicista, Eva Rachele Grassi - poeta e videomaker, Luigino Giustozzi - tecnico performance.

Caramente

Marco Fioramanti
 
 
 
 

Roma, 21 aprile 1987

Caro Fioramanti,

ecco le risposte alle sue cinque domande.

Spero che siano chiare e suscitino qualche polemica.

Buon lavoro e cordiali saluti - prof. arch. Bruno Zevi
 
 

Intendendo affrontare il tema dell’architettura in relazione alle arti visive, abbiamo rivolto alcune domande al prof. Bruno Zevi, cercando di fare chiara luce su quest’argomento tanto diffuso, ma raramente approfondito.

Marco Fioramanti: quali sono, secondo lei, gli elementi che determinano l’evoluzione dell’architettura?

Bruno Zevi: la situazione socio-culturale, da un lato, e la presenza di coloro che intendono trasformarla, dall’altro. La lingua parlata e le nuove parole che la sconvolgono. Sarebbe più interessante indagare sugli elementi che determinano l’involuzione dell’architettura.

M.F.: noi pensiamo che l’arte sia una componente dell’architettura. secondo lei, quanto peso ha l’arte in essa e quali architetti, dal dopoguerra ad oggi, possono essere chiamati artisti?

B.Z.: L’arte è una componente dell’architettura quanto l’architettura è una componente dell’arte. Sicché l’arte non ha alcun peso sull’architettura, in quanto questa è una delle arti. Né la più grande, come si diceva; né la più piccola, come si è detto nei tempi in cui la pittura sembrava orientare tutte le arti.

M.F.: vogliamo portare a conoscenza dei nostri lettori un fatto insolito - da lei rimarcato sulla sua rivista "l’architettura" - e cioè che alcuni degli architetti più importanti (come F.L. Wright, Le Corbusier, Mendelsohn) non fossero laureati.

È d’accordo lei che le esperienze dirette di lavoro siano più stimolanti e creative di qualunque esperienza accademica?

B.Z.: Senza dubbio. E va aggiunto che chiunque abbia seguito un curriculum accademico è stato costretto, per diventare un autentico architetto, a disfarsi di tutte le nozioni imparate all’università. Operazione assai faticosa, che gli autodidatti possono evitare.

M.F.: Portando il discorso al limite, crede sia possibile pensare in futuro ad un tipo di civiltà creativa al punto tale che architettura, urbanistica e arredo urbano possano divenire patrimonio alla portata di tutti? (Questa domanda intende ricollegarsi ad alcuni esempi del passato -remoto e non- quando le esperienze di lavoro unite alle valenze estetiche permettevano (e permettono tuttora in alcuni paesi africani) ad ognuno di potersi progettare e realizzare la propria abitazione ed intervenire sul tessuto urbano locale).

B.Z.: L’autocostruzione va bene per una capanna, meno per un grattacielo. Credo che i processi di progettazione urbanistica ed architettonica debbano essere socializzati, secondo le tesi della "community architecture". Ma ad una condizione: che la qualità architettonica migliori attraverso il metodo partecipativo. Se invece burocratizza e appiattisce l’inventività, la socializzazione va rifiutata.

M.F.: Tra le tendenze contemporanee il post-moderno ha raggiunto un riconoscimento internazionale ufficiale, sia nel design che nell’architettura a vantaggio delle istituzioni pubbliche conservatrici e dei grandi gruppi finanziari internazionali.

Esistono, secondo lei, altre aree di ricerca che vi si contrappongono?

B.Z.: Il post-moderno costituisce una deleteria tendenza di carattere nettamente reazionario che, approfittando della crisi delle ideologie, vorrebbe distruggere gli ideali del movimento moderno. La neoaccademia ed il post-moderno sono sintomi di frustrazione e di impotenza creativa. Si ricorre all’eclettismo linguistico quando non si ha niente da dire e perciò non si può parlare la lingua contemporanea. Per fortuna, malgrado il chiasso pubblicitario, queste tendenze sono ristrette a poche decine di pseudo-architetti nel mondo. La professione, in generale, ne è nauseata. Gli architetti autentici sono molti: da Rogers e Foster a Fehling & Gogel, da Domenig a Aldo van Eyck, da Renzo Piano a Giancarlo De Carlo, da Erskine a Pietilä e Birkerts, dai wrightiani sparsi negli Stati Uniti all’avanguardia giapponese.

(1) La rivista "POST" usci' soltanto con il numero 1. Nonostante l'interesse suscitato, la rivista dovette interrompersi per mancanza di fondi. Per questo motivo l'intervista che segue (tuttora inedita) viene pubblicata in questa sede.(n.d.r.)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Chapitre 7

ETHNOART

Comment J’ai appris a Reconnaitre mon Double

Conte visionnaire pendant une séance chamanique au Nepal

par Marco Fioramanti
 
 
 
 
 
 

"Quand la performance est finie, même la magie s’arrête, et avec elle le pouvoir de l’artiste. Le rite recommencera quand/si il y a la conscience et le besoin de transformer l’energie créative en un produit artistique: chaque fois je déviens l’instrument de ce passé lointain."
(M. F., Kunstmeile Kurfürstendamm, Berlin de l’ouest, 1984)

 
 
 
 
 
Dans ces régions où les êtres humains deviennent véhicules des dieux, se renforce ce lien perceptif subtil entre visible et invisible.
 
 

Nous sommes le 8 de Novembre 1997 selon le calendrier occidental, il est 18 heures 30. C’est déjà l’obscurité dans ce village Tamang non éléctrisé situé au fond d’une vallée, à une démi-journée vers le sud-ouest de Kathmandou. Tout est plus qu’obscur, seul le noir devant les yeux. Mes oreilles perçoivent l’approche rythmique du battement d’un tambour. C’est le son divin du dhjangro, le tambour chamanique double face (ciel/terre, masculin/feminin): le bombo est en train d’arriver pour cette séance qui durera du coucher du soleil jusqu’à son lever, pour évoquer l’esprit d’un chaman très connu. Entouré par l’assemblée, il s’assied dans la maison sur un tapis fait de bandes de bambou entrelacées, régardant vers la sortie. Il commence à murmurer les "mantras" secrets au son du tambour, en appellant les dieux, pendant des heures. Ensorcelé par ce battement rythmique et enveloppé par la fumée et les odeurs, mon esprit vole loin et - comme Wu Tao-Tzu (VIIIème siècle) je disparais dans les brouillards du paysage que je viens de peindre. Je commançais à saisir le souffle des choses et à chaque inspiration l’invisible se révelait à moi- en prenant forme, couleur et son. Les paroles n’étaient plus seulement des paroles, elles créaient de nouvelles forces; je sentais que le passé était encore vivant quelque part. J’observais les objets de pouvoir (le phur-bu, poignard magique enfoncé dans le sol; les torma, gateaux de riz modelés en figures humaines comme esprits gardiens; la ghanta-mala, ceinture en cuir pleine de petites clochettes croisées sur le thorax, qui annonce l’arrivée des dieux) et moi, je me joignais à leur voyage initiatique. Là, au delà du miroir, l’image de moi-même, quelqu’un d’autre que moi, en forme humaine; je me reconnaissais sans un sentiment d’appartenance. Peut être était-ce l’effet du roksi, un distillé de maîs, offert par le chaman. "Je t’attendais", me dit l’autre. Maintenant il y avait deux moi- même, deux histoires, deux idéntités, deux passés différents, et mon jumeau avait son propre nom. Rafael. Rafael était né a Mexico-City le 8 août 1958, il était poète et écrivain. Il me parlait sans bouger les lèvres, et je le comprenais facilement lui répondant de la même façon. Il me dit que mes ancêtres ne connaissaient pas seulement l’histoire de notre passé, mais aussi celle de notre future. Maintenant j’ouvrais les yeux à d’autres visions. Belles sensations. Je voyais les choses proches qui en apparence étaient loin. Je ramassais des feuilles de Pipal et je les entassais dans mon livre. Je les aurais offertes à toutes ces femmes qui ont ressenti de l’excitation en me voyant ou en pensant en moi. Je pouvais entendre des voix à travers le mur et reconnaître les gens qui parlaient. Chaque chose m’était claire, foudroyante et pure comme l’ombre d’un javelot. Les événements changeaient de plus en plus dans ma nouvelle condition extatique, et moi avec eux. J’étais devant une caverne où un moine avait médité depuis des années; à l’entrée l’empreinte de sa main droite était imprimée sur la roche. Je mis ma main dans la sienne. La trance du bombo, annoncée par la ghanta-mala était en train de commencer. Je me sentais m’écouler comme un fleuve ("... rappelle-toi, les fleuves peuvent exister sans eau, jamais sans bords"), le vent soufflant à la surface, la terre sous mes pieds. Je fixais les yeux du chaman, le tremblement de sa trance, ses yeux terrorisés regardaient obliques en direction de la fenêtre, cherchant quelqu’un. Sa voix avait changé de ton, avec le rythme du tambour, même sa respiration avait pris une autre forme. Il s’agissait d’une expérience réelle de communication directe avec un monde que confirmait le lien visible/invisible. Accepter mon double c’était attendre de moi-même des choses que ma tête ne pouvait comprendre. Il est maintenant 6 heures 30 du matin. Le deuxième coq est en train d’être sacrifié. Le chaman lance plus de riz pour remercier les dieux et démande la dernière offrande en argent. Il fixe les yeux sur l’autel et avec son bras-javelot il détruit les torma, mettant un terme ainsi à la puja. Au même moment mon double disparait.
 
 

Il faut apprendre à percevoir.

(Kathmandou, décembre 1997)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Le Ciel
 
 

Invisible Visible

Non-Visible

Le Souffle

Le Champ L’Ombre

Magnetique
 
 

La Terre
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Double perception: paradoxe du style
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Dans le circle de la vie l’être humain est toujours connecté au ciel et à la terre. L’Invisible (soit future soit champ magnetique) et le Visible (soit passé soit ombre) sont constantement liés avec le Non-Visible (soit présent soit souffle). La conscience du hic et nunc est la magie qui éfface l’illusion/paradoxe des deux perceptions séparées.
 
 











Marco Fioramanti, Map cosmogonique, 1998



















L’effimera Arte degli Sciamani

di Romano Mastromattei(1)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

In questo intervento, faccio una distinzione - una distinzione da antropologo quale sono - tra arte sciamanica e arte degli sciamani. La prima è caratterizzata da forme espressive peculiari: sculture in pietra, legno, osso, e altri materiali più o meno permanenti; dipinti, graffiti su roccia che - quale che sia la loro effettiva durata storica - sono concepiti come qualche cosa che è destinata a persistere. L’arte - assai meno conosciuta - degli sciamani, opera delle mani di questi operatori del sacro, è quasi sempre destinata a scomparire, ad essere distrutta non appena la sua funzione - qualche ora, una notte al massimo - è esaurita. Grazie al bell’intervento di Michael Oppitz, potrete vedere come l’arte sciamanica permanente sia stata elaborata in modo del tutto originale da Joseph Beuys, che la conosceva, secondo ogni evidenza attraverso le opere dei ricercatori del secolo scorso e della prima metà di questo secolo. Questo tipo di rappresentazione è quasi sempre ellittico ed essenziale: un palo con delle incisioni trasversali, praticate con l’accetta, e un muso appena sbozzato, può essere uno Spirito-Pesce; un palo cui siano stati lasciati un paio di rametti, diventa uno Spirito-Cervo; e così via. Rappresentazioni cosmiche più complesse - diciamo pure più figurative - possono essere dipinte sulla pelle del tipico tamburo sciamanico: queste ed altre immagini, bi- o tridimensionali, sono però il prodotto di chi gravita attorno alla figura dello sciamano, e non dello sciamano stesso. Questi invece, almeno nell’ambito himalaiano e centro-asiatico a me familiare, traccia immagini sul suolo e sul tamburo con materiali del tutto effimeri: polveri, o impasti di polveri, che creano, mettono in atto immagini cosmiche - di un cosmo sciamanico, beninteso, non del cosmo profano - e che vengono rapidissimamente distrutte non appena la cerimonia, la seduta, è finita. Queste immagini non sono un’astrazione ancora più spinta dei moduli espressivi dei laici, bensì qualcosa di completamente diverso e di cui può restare traccia documentaria soltanto grazie alla fotografia, al film o alla memoria - in genere labile, provata e stanca - dell’osservatore, che ha assistito per lunghe ore o intere notti a cerimonie che si svolgono nell’oscurità quasi totale. Queste immagini che - a differenza di quelle laiche - sono di regola estremamente complesse, descrivono e indicano i percorsi sciamanici e le loro mete; viaggi che alludono a immense distanze, superate in una contrazione di tipo onirico del tempo e dello spazio. Misurate con un metro sublunare, sono distanze di pochi passi, scandite e anzi istituite da ritmi musicali che - anche in questo caso - non hanno nulla a che fare con i moduli profani tipici dei gruppi etnici in cui lo sciamano si trova ad agire, come può testimoniare soltanto chi li ha uditi. E’ forse questo il punto di contatto o piuttosto di ideale tangenza tra lo sciamano e l’artista che a suo modo - insisto, a suo modo - tenta di rivivere le esperienze del suo predecessore senza imitarle piattamente, ma anzi - come è stato il caso si Joseph Beuys - di reinterpretarle con ammirevole originalità e libertà

(1) Docente di Antropologia Culturale presso la II Università di Roma "Tor Vergata". Dal 1984 dirige un progetto di ricerca in Nepal. Autore di numerosi libri e saggi tra i quali si ricorda 'La terra reale-dei, spiriti, uomini" (Roma, 1988) e "Tremore e potere-La condizione estatica nello sciamanismo himalayano" (Milano, 1995)

(estratto da Tempo e forma nell’arte contemporanea, Atti del convegno-esposizione internazionale, Cassino, 13-15 maggio 1996, a cura di B. Corà e R. Bruno)

 
 
 
 
 
 
 
 
 

Joseph Beuys amongst the Shamans

by Michael Oppitz(1)
 
 

I will try to make my discussion short.

You have seen a séance of shamans which brings us to the last topic of the day - that is put into question form - Is there any kind of relationship between shamanism and the work of Joseph Beuys as many people claim?.

I wouldn’t be here if there weren’t. So that I will do now is to say a few words about the possible relationship between Joseph Beuys and shamanism and then we will make a little demonstration with some slides. Afterwards, if anyone wants to stay, he or she may look at two old film examples of séances which Joseph Beuys made in the 60’s.

Some of you may know that other people have already written about shamanism and the reason why I am talking about this subject today is that in 1979, Beuys came to see about 35 hours of film. This was a film called Shamanen in Blinden Land that I had been shooting in West Central Nepal in a very lively society with a lot of shamanism. So we had sufficient time to talk about his experiences, his lectures, his readings and the books that he had seen. So I know from him personally who some of the authors were that he had read and who had influenced him. Naturally he had never seen a shaman before. At this time the reading of shamanic material had been for a long time over because all that was influencing from shamanism in his work happened in the 1950’s, 1960’s and in the 1970’s. So when I make my little demonstration with the slides, it will contain and deal with drawings of the 1950’s and the turn of the 1960’s. I will have to explain the plastic work because I do not have material on that and finally, from the 1960’s up to 1974, that is, up to the last performance in America - New York with the Coyote, that is the action works.

As far as the drawings are concerned, the pictures that you are all going to see are exclusively those where the word shaman is in the title or where the titles are directly related to shamanism. Besides that there is a lot of work also amongst the drawings that is related indirectly to shamanism.

One can also see analogies in the work between shamanic activities and Beuys’s activities in various other traits, such as in his own life. All shamans make references to a myth, that is to a myth of the first shaman and they accord their lives to this.

In Beuys’s life, the working of a myth, especially on an individual myth is when he makes himself the myth, and as in all classical myths and tribal societies, myths change - and the myths of tribal societies change; each rendering is different to the next which is the case when Beuys tells his own biography. He tells his own biography in a different manner each time.

An important point in this mythological biography, both in shamanism and in Beuys, is that there is a moment of death and rebirth. In all shamanic stories there is a kind of death happening and for instance the body of the shaman, the bones disassemble and then have to be reassembled and that is known to be rebirth.

With Beuys I will not tell the story, but in the war he was shot down in Crimea during the War and found by Tartar people and he was apparently unconscious for several days. When he was found he says in some of the versions that he was found in a felt tent and he was fed with fat. Here you have materials that he used later on as elementary materials in his work.

Beuys earliest work directly related to shamanism is a drawing from 1952 or 1953 of a person lying on the ground as though dead and you can see the bones as if they were dissembling. Then another important thing that is an analogy or a similarity is his dress and as you know, Beuys’ hat is also a certain reference to the shamanic.

The reason for this is because all shamans dress have a particular kind of hat which is a sign of their profession and normally they wear something on their head with feather gear which tells that they are able to fly in certain circumstances. That is, of course, not the case of Beuys.

Secondly, there is a mink coat that he usually wore and made specific reference to as shamanic overcoat.

Amongst those dress pendants and the like, that refer to the profession there are also animal pendants. All shamans wear them on their backs, on their sides or all over themselves. These pendants consist of parts of animal skins, teeth, skulls and so on.

Very often Joseph Beuys would wear his pendant, which was a piece of rabbit skin, on his jacket, that was also a particular reference to this. In addition to that, shamanism is always recognised as being at least Asian shamanism and related to this is a drum or a sound instrument of a particular kind. Beuys did not use a drum, but he painted a drum in one of the drawings as you can see later. He sometimes used a triangle bell which represented this sound instrument.

Finally of course, the staff. Shamans very often carry a staff around with them, besides the drum. Beuys created a staff which is called Eurasian staff which was basically the staff of Eurasia that played an enormous symbolical role in many of his works, in his drawings and in his actions later on. In his later pieces is a particular walking stick which he referred to as his shamanic stick.

One could go on at lengths about the paraphernalia that Beuys used in his drawings as well as in his actions which are related. I will only mention a few things like the sledge, the axe and the iron shoe. The iron shoe was considered to be the shaman’s snow shoe.

As I already mentioned earlier, there is a connection with animals. All shamans have a very strong connection with animals, either with auxiliary animals that help them to perform certain traits or into which they change in order to gain spiritual power. Many or several of Beuys’ works, especially those of the performances, show an interaction between animals.

I will not quote now all the statements that Joseph Beuys made, but I will say, as Beuys did, that whenever he worked with an animal he worked with an animal he worked like a shaman and treated the animal like a supernatural being.

For exempla, there is a presentation of a coyote enclosed in a New York gallery and he called the action: I like America and America likes me.

Another topic of similarities or affinities is the making of a ritual space. When shamans usually being a performance, they separate the place where they act from the normal visitors, clients or whatsoever. In many of the actions that Joseph Beuys made you have a kind of sacralization of the place. I’m not sure whether this is the right word to use. At least he separated the place of his action from the place of the people. For instance, the rabbit action happened inside the gallery and nobody could come in. They could only look through the windows. Then the next point of similarity in the dramatisation of his action. All shamanic actions have acts and parts as in plays and they have a dramatical sequence which is usually fashioned in the style of five or six sequences. This is exactly the same in most of Beuys’ actions but unfortunately there isn’t time to demonstrate this here. You must believe it.

(Oppitz explains an array of slides and pictures)

The picture, as you can see from the title Shaman 1970 is a work of Nancy Grey’s.

This is Beuys. The picture is the one that I mentioned before. You can’t see very much, but there is actually a dead man here.

It’s a very very fine early drawing and here there is a great definition of the rib cage which means that is the skeleton.

This picture is called Peace in the tent of the Hun which basically refers to a Mongolian Hun. Beuys’ Hun always meant shaman. It is in this drawing of 1959 that Beuys was always understood as being a shaman, that is, "Peace in the house of the shaman".

I refer to the drum which is here next to the order drawing. This is another picture of Kandinsky.

That was a shamanic drum from Lapland. The title is correct: that is Tools of the shaman.

For Beuys snowman also means shaman because he had the idea that the Abominable snowman was a mental creation of a shaman.

This is a shaman and as Beuys says, it is his vision.

Actress is a title which often appears and is known to be the female shaman.

This is a drawing of Gengis Khan that is The cradle. Once again the word Gengis Khan must be translated into a particular shaman. This is because Beuys in fact thought that Gengis Khan was a shaman and some Mongolians agree. But, I doubt that. Anyway this cradle probably comes into the picture. That is, it represents the shaman as a baby.

This drawing is entitled The First Sledge. If you look carefully, it indicates a person lying on it. I have found the photographs that Beuys used and which influenced him so much because among the Nunai, after a person dies and is buried, a puppet is built of the dead person.

The dead person is then laid down on a sledge and guided into the beyond.

In this drawing it is even clearer. It is called Dead man between Elk Skeletons. Once again it is a shaman in an initiation situation.

This drawing is entitled Sahamania. I find it a funny title because we are all probably considered shamaniacs.

was very fascinated with honey and, as you know, there is a lot of work where he works with honey. Beuys was particularly interested in honey as one of his early pictures depicts a woman carrying honey.

Once, when I returned from Nepal, Beuys was totally fascinated by this wooden object which was given to me by a shaman, he wanted it and I gave it to him. It contained honey. His drawing was much older. It’s from the 1950’s, but I gave it to him in 1979. It is said that Joseph Beuys’s ashes are in this thing now. I don’t know and I’m not exactly sure. So do not forget it. This is another picture with a woman carrying honey.

This drawing is a shaman’s house

Here you can see a Siberian house where Beuys had seen this picture because it is in a book that he owned.

This is another drum not far from the area where you, Mastromattei, shot your film. There is also a shamanic drum inside a house.

This picture shows a sledge. The sledge, as you known, played an important role in the actions and in the early paintings where there are depictions of dog sledges.

This is a Nineteenth Century drawing photographed by Jochelson who was a Russian photographer, which maybe had some influence on Beuys.

In this picture there are three people called Three Actors where the person in the middle is a shaman in a shamanic dress.

This drawing shows a shamanic dress as Beuys had really seen.

This is the piece called Efigenia that Beuys did in the Kunsthalle of Frankfurt. This was the first time he wore this coat which he declared his shamanic coat.

In this piece Beuys has direct dialogues with a horse.

The Curved Stick is an early drawing and an already prefigured form of the later Eurasian stick. This is a stick from the Yacuts, a shamanic piece.

These are two Bohetian shamanic sticks that have horse heads on the ends. By the way it is the original model of the hobby-horse.

This drawing is called Bird Man.

This picture is a shamanic dress like Beuys’.

Here we have a place where shamans take their trip to the sky and this is the take off place.

This is in Yacutia photographed in 1992 by me.

This picture is entitled The Listener to the Earth which was something that always fascinated Beuys: shamans very often lie on the ground and listen. Of course they don’t sleep and therefore listen to what is happening in the underworld.

This photograph was taken by me in 1979 in Western Nepal where a shaman goes into such a state.

This is a transformation of a Beuys drawing which he had done twenty years earlier which was later integrated into an action.

This is the first action that Beuys ever did in 1963. On the right side there is a thing which he also calls a Life Tree. This life tree also plays an enormous part in shamanic society for climbing through the Cosmos.

This picture is a representation from a museum and of a life tree represented in the middle of the picture. On the left you have a shamanic drum and on the right you have a container of the drum.

Here we have the same photo with a particular action of Beuys.

QUESTION FROM THE PUBLIC: Why does he always use the rabbit?

OPPITZ: Well, Beuys always made a lot of statements about that. One of the statements that he made was that the rabbit represents speed; the rabbit is movement; the rabbit is what you can’t get; the rabbit you have in the East and the rabbit you have in the West; the rabbit can even go through the Berlin wall.

For me the rabbit is life; it’s rebirth. The rabbit goes into the soil and digs itself into the soil and then comes out later.

Maybe we should stop here. But I have another ten or fifteen pictures about actions.

This picture shows the old famous Eurasian stick again.

This is the old iron sole which I spoke about earlier. Beuys used one in several relations and it is very interesting.

Here you can see Steiner, the anthropologist. Steiner made a few particular statements about walking. He said lifting in the will, going forth is the time and putting the foot down is considered action. Beuys did that in various actions exactly in the way Steiner had choreographed.

Here we have a drawing of Jochelson from Eastern Siberia where he made exactly the same drawing from which he also made this iron instrument. This is once again the Eurasian stick which you know from the film that it was made in 1969. From this picture you have one of his later works with the Eurasian stick. It is actually rolled in felt and the whole thing is in a rucksack. It also signifies very much for Beuys the nomadic state which he felt he was in and which naturally all societies were in, that is, the Eurasian societies.

This picture as you can see, shows the New York gallery with the Coyote Action. Again, here, he has the stick and the big felt coat.

To see this film is very fascinating because apparently there is a very interesting and attractive communication going on between him and the coyote.

Here in this picture there is a shaman from the Himalaya with a stick. He just sits there on his way to a client.

This is Beuys with a rabbit and a long stick. The long stick signifies the prolongation of the steps that the animal can make from Asia to Europe and then back. Here he also lifts his foot with his iron sole. That is an action of 1969.

Interestingly enough there is also a point that I didn’t mention before. In this action you can also very clearly see that there is a shamanic trip or a shamanic journey that Beuys makes with this rabbit.

This is the representation of Eurasia which is a cross that has been halved and this in fact means the positive side of Eurasia.

This picture is not a piece of Beuys’. This instead is a rabbit as I found it in a provincial museum in Eastern Siberia. It represents a ritual in which a rabbit is used with a prolongation stick.

This is towards the end of the action which was done originally in the gallery in Antwerp.

This picture is from the piece that I explained before which Beuys explained to the rabbit. This is at the Schmela gallery in Düsseldorf.

This piece is an end piece which is very important in that towards the end of the action Beuys comes always to a halt.

Then the action turns into a piece of work and that’s the way you see them now.

"There is also a halting moment in the actions of shamanism and, as you know shamanism has been forbidden in Russia. So what you know about it now is what you can see in museums in Siberia. This has been taken from the museum in Gorno Altaisk.

Okay, we will stop here. Thank you very much and goodbye.

(1) Studioso di antropologia, attualmente é direttore del Museum für Volkerkunde di Zurigo ove é docente presso l'Università. Autore del film "Schamanen in Blinden Land" (New York- Köln, 1980) é autore di saggi e libri tra cui si ricorda "Frau für Fron-Die Dreierallianz bei den Magar West-Nepals"(Frankfurt a M., 1988) e "Onkels Tochter, keine sost-Heraitsbundnis und Denkweise in eine Lokalkultur des Himalaya"(Frankfurt a M.,1991)
 
 
 

(estratto da Tempo e forma nell’arte contemporanea, Atti del convegno-esposizione internazionale, Cassino, 13-15 maggio 1996, a cura di B. Corà e R. Bruno)

 
 
 
 
 
 
 

Primitivi Urbani

di Lidia Reghini di Pontremoli(1)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Next Generation
 
 

In uno scenario di guerra bio-batteriologica e biotecnologica l'arte riflette sul destino del corpo: ne preannuncia l'imminente disfacimento, anticipa mutazioni endemiche che trasformano il profilo regressivo della body art.

L'arte è il virus che agisce e si impone in un ambito sociale come media reattivo introducendo inaspettati cambiamenti di regole.

L'arte è comunicazione sovversiva e pratica linguistica di una banda armata costruttiva: il sistema delle regole infranto non innesta la perturbazione della coscienza o condiziona lo sviluppo di una crisi generazionale ma piuttosto favorisce l'uso di una creatività libera e disinibita, non condizionata da pesi e necessità provenienti dal passato.

Proiettata all'interno di un sistema di comunicazione allargato, l'arte quotidianamente si misura con le contraddizioni e le ambiguità del presente. Fuori dal recinto protettivo e rassicurante dell'avanguardia e dello sperimentalismo fine secolo, l'arte del presente affronta senza inibizioni o condizionamenti culturali il momento della transizione e della mescolanza instaurando nuove risposte e modalità di comportamento comunque elastiche, create e suggerite da una serie di esperienze realizzate in un territorio scelto dall'artista come campo d'indagine estetica ed esistenziale.

Superando la specificità del genius loci - marchio d.o.c. degli anni '80 - l'artista della Next Generation vuole superare il limite geografico natale, l'alveo della provenienza culturale, per avventurarsi in perlustrazione alla ricerca di altri territori.

Liberi di attraversare in più direzioni le coordinate del Tempo e della Storia, alcuni artisti scelgono percorsi inusuali: la ricerca sconfina verso geografie dello spirito e della materia lontane, a scoprire alfabeti etruschi, fenici, galassie cyber. In queste perlustrazioni antropologiche del contemporaneo l'artista comunque fa riferimento - in termini più o meno ottimistici - alle dimensioni di un habitat individuale da superare evadendo in una dimensione geograficamente allargata. Comune è il desiderio di prendere le distanze da un territorio delle origini oggettivo per trovare altri approdi geografici reali o immaginari.

Innestandosi con il media tecnologico o recuperando i segni di territorialità arcaiche, l'arte del presente declina ogni discorso sulla specificità tecnica e formale dell'oggetto-arte: entrando in relazione con realtà aspecifiche ed extrartistiche abbandona il target di un pubblico specialista ed elitario.

Finalmente fuori dalla torre, l'arte può annusare gli odori del mondo: gli artisti della Next Generation non hanno più bisogno di ascoltare o leggere taumaturgiche parole di encomio. L'arte come media è il prodotto di una cultura contemporanea intesa come movimento e trasformazione di differenti pratiche comunicative non immobili ma in continua mutazione. La non sedentarietà del prodotto-opera d'arte è frutto di una volontaria e necessaria perdita di centro: alla concezione immobile del centro inteso come luogo di nascita dell'opera d'arte viene privilegiata l'elezione di un domicilio esistenziale allargato in un oggetto-arte.

Evaso dal confine coatto dell'avanguardia, l'artista della X Generation si muove alla ricerca di nuovi possibili territori: esplorando ritrova segni e luoghi di un passato, oppure reinventa il profilo di possibili zone antro piche, la terra dei Mutoid. Fuori da ogni definizione stilistica data, si potrà scorgere in alcuni artisti l'evoluzione di derive culturali.

Fuori dal passato, fuori dal futuro, l'artista rifonda l'ordine di un differente linguaggio che non vuole trovare ancoraggi nella cultura ufficiale. Non è un linguaggio "di frontiera" ma una serie correlata di pratiche zonali della sensibilità capaci di individuare territori e pratiche antropologiche costitutive per l'arte.

Questi passaggi, queste irruzioni della coscienza all'interno di linguaggi o pratiche differenziate ribadiscono l'appartenenza dell'arte ad un sistema "tribale" allargato e multietnico.

In un'età dove i mezzi sono il messaggio, è destinato a trasformarsi l'intero processo creativo sia sul piano dei risultati estetici che su quello della campionatura teorica e linguistica.

Epifania di una visione transgenica dell'arte: al mutamento della fisionomia e del funzionamento sociale dell'oggetto-arte corrisponderà l'evoluzione dell'intero sistema percettivo e culturale che nella collettività sancisce la categorizzazione radicale tra estetica, norma e comportamento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Primitivi urban
 

Primitivi urbani. Artisti che lanciano ed accolgono nel territorio della città segni e segnali tribali. Artisti che escono allo scoperto, fuori dal rifugio protettivo dell'atelier e dello stile, per inoltrarsi alla ricerca di geografie inedite ed inesplorate da scoprire.

L'arte gioca complice con il territorio stabilendo sodalizi ed alleanze con pratiche linguistiche alternative. Artisti che oltrepassano la Storia costruendo forme non più definibili con il termine "opera d'arte" ma piuttosto come oggetti in transito e mutazione capaci di stabilire una serie di correlazioni antropologiche e semantiche con l'ambiente circostante.

Il corpo dell'arte oltrepassa la frontiera del terzo millennio, scavalca l'ibrido ed il transgenico per divenire oggetto transitorio ed elusivo, rien à déclarer.
 
 

Con la macchina da presa l'antropologia registra e cataloga una serie di testimonianze "sul campo".

L'antropologia dell'arte presente non ha bisogno di telecamere: dalla voce degli artisti si potranno intuire i movimenti di una mutazione territoriale e tribale in atto.

(1) Lidia Reghini di Pontremoli, critico d'arte, é autore di una serie di pubblicazioni sui problemi dell'arte contemporanea, tra cui "Canto & Controcanto. Per un'iconografia dell'arte contemporanea" ed. Diagonale, Roma 1998, da cui questo articolo é stato estratto. Ha curato numerose mostre tra cui "Europa Nietznana/Europe Unknown, (Cracovia, 1991). Nel 1994 é stata nominata Commissario nazionale alla XLV Biennale di Venezia. E' titolare della cattedra di Antropologia Culturale all'Accademia di belle arti di Roma.
 
 
 
 
 
 
 
 

Chapitre 8

OPEN ART

Molecole d’Amore
 
 

Du 6 mai jusqu’au 30 juin Eva Rachele Grassi et Angelo Ermanno Senatore (Extrême Jonction) ont invité dans leur "chantier d'idées", des vieux complices, compagnons de route, pour une confront/ation avec les nouveaux camarades, connus en terre française.
 
 

Les artistes italiens Claudio Bianchi (fondateur du mouvement traitiste, à Rome, en 1982), Marco Fioramanti, Sergio Salvatori et Ali Kichou, accueillis par le peintre Senatore et le poète Grassi, dans leur atelier de Créteil, rencontrent Evgenjia Demnievska, Vesna Bajalska, Jean-Luc Moreau-Romain, Yiulia Gazetopoulou et Anton Perich, directeur artistique de la revue new-yorkaise Night.
 
 

Le Titre de l'exhibition Molecole d'amore, choisi par les artistes italiens invités, et présents à la soirée du vernissage, veut raconter le parcours de recherche d'un groupe d'individus, qui se sont rencontrés, quittés, et à nouveau retrouvés, au nom d'une quête similaire et parallèle. Molecole d'amore poursuivra, l'automne prochain, à Montréal au Canada, à Athènes en Grèce et, probablement aussi à Rome, au Grand Palais des Expositions.
 
 

A l'occasion du vernissage a été presenté au public, le livre d'artiste du group Extrême Jonction (ed. Il Pulcinoelefante, Osnago 1998, par Alberto Casiraghi).Il y a eu, en outre un débat sur: Art, institutions, nouvelles technologies, societé: quelle entente possible?
 
 

Extrême Jonction a exposé aussi, le 16 et le 17 mai, une œuvre de peinture et une installation de poésie visuelle, à l'occasion de la première collective des artistes des ateliers de la Mairie de Créteil, organisée, dans les locaux de la Galerie communale, la G.A.C., par les responsables, Reda Otmanetelba et Nathalie Gilbert.
 
 
 
 

"Les oeuvres des artistes possèdent l'énergie nécessaire pour appuyer le voyage mystique de la conscience collective d'une génération vers son propre Apogée." Anna Maria Corbi
 
 

  • Accrochage Collectif a la Galerie d'Art de Creteil
     
     

    Du 16 mai au 14 juin a eu lieu un accrochage collectif des artistes des ateliers de Créteil, à la nouvelle galerie communale, G.A.C.

    Les dynamiques responsables du nouvel espace, Reda Otmanetelba et Nathalie Gilbert, mêlant travail d'agencement et conception artistique, ont permis aux œuvres exposées, de s'enchaîner harmonieusement, en obtenant une ambiance propice à la perception, malgré les différences des formes et des styles. L'expo réunie un casting digne d'intérêt, dans un environnement inter-disciplinaire. Les artistes, d'origines et de tempêraments très différents sont: P. Bardakoff, P. Bertucelli, V. Gazier, E. R. Grassi, D. Kessel, M. Korenhof, I. Lecudennec, L. Lumezi-Selimaj, E. Peron, B. Pietrzak, J.C. Samba, A. E. Senatore, H. Selimaj, A. Souvray, S. Souchere, F. Spath, J.L. Stoskopf; E. Wierzbicka, J. Yukawa, qu'on vous propose d'aller visiter dans les royaumes de leurs ateliers, tous situés à Créteil, entre la Source, le Lac, la rue Falkirk et l'av. Billotte.

    Le 26 juin, le prochain vernissage, dedié à l'Oeuvre "insaisissable" d'un artiste peintre, intellectuel roumain et cristolien d'adoption, Pavel Codita.

    La Galerie, située dans l'Avenue Mitterand (on aime croire pas par hasard, en connaissant l'amour et l'attention pour l'art et les artistes de l'ancien président) a l'air d'avoir été conçue, selon les suggestions recueillies auprès de Reda Otmanetelba, pour y recevoir non seulement des expositions, mais aussi des événements plus ponctuels comme des performances, des conférences, ou des projections... Dans cet esprit, grâce également à la volonté politique de l'administration de la "gauche plurielle" (à Créteil, comme ailleurs, à Ivry, Saint Denis...) toujours attentive à l'art contemporain, la G.A.C. se propose de devenir un lieu d'echange entre artistes et ingénieurs culturels, français et étrangers. Avec, en plus, un travail parallèle de promotion de l'art vivant, sur le territoire, à travers de débats, des rencontres, comme les derniers, avec les élèves des écoles cristoliennes, où on a tenté de provoquer la participation du public adolescent, en le stimulant à mettre en perspective les œuvres entre elles.

    Une jeune galerie donc, qui, comme nous a dit R. O., a la saine ambition de devenir un laboratoire-carrefour des arts et des cultures du monde, dans la conception d'un echange des "savoirs", démocratique; un musée dynamique, où les operateurs-arty puissent vivre leurs utopies avec un public actif, sans barrières et sans frontières. Avec une particulière attention à la mémoire de ses étapes, à travers la publication de cahiers cristoliens "gutenberg-iens", avec un clin d'oeil à la révolution électronique, qui avance inéluctable dans notre vie-connaissance, philosophie quotidienne; enfin, pas un musée manièriste, "passé-iste", hors de l'histoire du prochain 3000...mais un lieu contemporain futuriste vital-vivant, miroir du temps présent et de celui à venir...
     
     
     
     
     
     

    Eurynome’s Gambit/ Chaos in Action

    project of Evgenija Demnievska and Wolfgang Ziemer
     
     
     
     
     
     

    Art activities using the Internet

    http://www.koeln.heimat.de

    http://www.aagif.fr/artw3/eurynome/
     
     

    "Eurynome’s gambit/ Chaos in action", is an art-event "happenstance", performed for the first time from the 4th-8th of November 97, during European Teleworking Week.

    Ten real spaces located in 10 European cities were connected simultaneously through a virtual space on the Internet that was programmed specially for the event.

    In each city there was a group of artists or a single artist, who were realising performances or interactive works, or were working directly on the Net.

    About 200 people participated.

    The participants were artists who are familiar with new technology and are using it regularly, as well those who have no experience with it at all.

    The virtual space, simultaneously accessible through the Internet, was understood as a possibility:

    - to do performances between different "real" places, simultaneously

    - to confront performances or/and works of art in "real" places

    - to test artists’ behaviour when confronted with works of different conceptions, in real time

    - to investigate cultural reality, and the conception of individuality

    - for realising interactive art-activities based on cooperation

    - for showing art works. The virtual space is a virtual space where the artists’ projects and their biographies can appear (through photos, video, text and sound). The information is accessible by a simple clicking on the desired object in the 3D virtual space.
     
     

    So, it’s a possibility for the spectators and for the participants to understand the individual performances of each artist.
     
     

    The project in its totality is generated:

    - the metamorphosing sense emerging from the relation of numerous combinations between the different individual projects.

    - a consciousness about the content, not known in advance, coming out of individual actions, interactions, and the collective subconscious.

    This content is appearing through coincidence, chances, and surprises.

    - a clear entity coming out of chaotic actions.
     
     

    The future:

    We intend that "Eurynome’s gambit/ Chaos in action" becomes a living cultural factor, open to new participants. We see it as an art event that can be performed many times, in real and virtual spaces, surprising us with new content coming out of multiplied individual creative energy generated simultaneously.
     
     

    E.D. & W.Z.
     
     
     
     
     
     
     
     
     
    Next event’s motto:

    "Me, it’s somebody else" ("Je est un autre"), A. Rimbaud

    from 2-9th of November 1998

    during the European Teleworking Week
     
     

    We invite you to participate. You can propose your interactive project to: edemnievska@hotmail.com or wziemer@netcologne.de

    Deadline for submission: 10th of October 1998

    __________________________________________

    Get Your Private Free Email at http://www.hotmail.com
     
     

    Eclaircissement de la Performist "Work in Progress" du Groupe Extrême Jonction: "Un Coup de Dés..."

    dans l’environnement de l’événement interactif artistique européen: "Gambit d’Eurinome/ Chaos dans l’action" de Evgenija Demnievska et Wolfgang Ziemer (4 - 8 Nov. 1997, Web Bar, Paris).

    par Eva Rachele Grassi
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     

    un
     
     

    coup
     
     

    de
     
     

    dés
     
     

    n’abolira
     
     

    jamais
     
     

    le
     
     

    hasard
     
     

    ou
     
     

    les multiples possibilités dans le lancement-suggestion
     
     
     
     
     
     

    Etre menés à l’Insaisissable par une suite de coups de dés chanceux, dans une succession d’heureuses coïncidences (qui pourraient bien aussi ne jamais se produire)...

    On a pensé aux rencontres de hasard entre les esprits pour former les noyaux des pensées, entre les pensées au cœur des âmes pour alimenter leurs feux, entre les pensées, produits de la combustion spirituelle, pour former des visions, entre les visions de l’océan humain pour engendrer un "rite de lumière".
     
     

    A la recherche d’une "science totale"...
     
     

    Une façon, parmi d’autres, pour comprendre la magie (de l’) électronique, temporaire bequille de l’esprit.
     
     

    Les dés, comme symbole du hasard, le hasard comme symbole de l’inconnu, l’inconnu comme symbole du secret.
     
     

    Une recherche chorale du mystère dans le scenario "virtuel" des probabilités infinies. Où on pourrait faire ré-apparaître à volonté tous les savoirs oubliés.
     
     

    Aussi l’action qu’on a tentée, a voulu manifester la "simultaneité essentielle" des états de l’être et des choses. Qui aurait dû se jouer dans une projection et une identification aux symboles et avec un partage des sentiments exprimés, de la part des autres artistes, "chercheurs" européens. En une série de modalités instables et changeantes, parce qu’à la quête de l’"Inconditionné."..
     
     

    ... Comme la promenade avec le "petit bonhomme virtuel" de Christophe, qu’on a élu presque ange gardien ou esprit bienveillant de la performist... Comme les probables-sources-références du titre-guide, qui peuvent aller de l’ancien "jeu de Hasart" (non propre d’une sorte de jeu de dès, étendu plus tard à tous les jeux) à l’I Ching; ou d’une forme particulière de géomancie au "cadavre exquis", comme quelq’un a dit, etc. etc.
     
     

    Et en ce temps de "primitivisme électronique", si le verbe, dont le son, à la capacité presque magique de rendre présent ce qui est absent, est le maître des lieux, Extrême Jonction se propose, depuis sa zone temporaire autonome, d’escorter son fragment de "poursuite d’Invisible", du "bruit originaire", sorte de "Kabaret cyberdada" contenu dans la micro-cassette annexe

    .(1) Le "bruit originaire" "sculpté" par Angelo Ermanno Senatore,vous pourriez l'"entendre",peut-être, même maintenant , sur le site…..
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     

    Chapitre 9

    CYBERDADA CAFE

    lettres, articles, news, débats, collages, récensions, amitiés, échanges, dans l’esprit du parallélisme, du transversalisme et du diagonalisme, etc.
     
     
     
     

    Il Senso e l’Arte

    di Franco Di Vito
     
     
     
     
     

    La bellezza (perché di bellezza si tratta) di Duccio, di Simone, non c’è più... finita... kaputt...

    Quel vago senso della pittura antica che si è protratto fin dai primi anni del 1900 (Sironi, Morandi, Modigliani, ecc.)...

    dopo Petrushka il diluvio...

    scale atonali, baffi alla Gioconda, preservativi...

    Nei primi anni del 900, la svolta clamorosa.

    La svolta segna l’inizio dell’arte non iconica che si colloca a cavallo (tra l’altro) con la scoperta della teoria dei quanta (in fisica).

    Questo cambiamento di direzione (in senso astratto) mette in discussione le vecchie certezze ed entra in un nuovo territorio.

    In parallelo con tutto ciò finisce il Liberty (ultimo vagito umano) e si instaura (in architettura) la moltiplicazione del modulo.

    L’arte non figurativa sia in musica sia in pittura si fa sostenitrice di abbordi pluralistici verso un infinito possibile (Mondrian, ecc.)

    La precedente pregnanza figurativa viene abbandonata per spaziare in astratti infiniti (Maleviç ) sull’onda di un potente soggettivismo. (Nessuno qui mette in discussione le qualità estetiche di Maleviç ). In musica la scala armonica viene abbandonata per entrare nella dissonanza più radicale (musica seriale, Schönberg, Berg, ecc.).

    Dove c’è dissonanza non c’è equilibrio, dove non c’è equilibrio c’è patologia. Il male è patologia. Il bene è armonia. Al mondo artistico contemporaneo s’addice il fare patologico modaiolo formalistico attaccato al simbolo che mostra solo sé.

    Allora, allora si prende atto del dato di fatto.

    Ma quando si risale all’accadimento e all’imperversare della svolta bisognerebbe recuperare il senso della cura.

    Qui la cura va intesa come ascolto del profondo che annuncia alti lidi possibilmente non descrittivi (in senso formalistico).

    L’arte oggi descrive e non dà speranza e dà quindi solo trasgressione (in molti casi, Citazionismo, Transavanguardia, ecc.). La guitta impertinenza trasgressiva porta dentro l’epicentro di un imbuto senza uscita.

    Esiste però nell’ambito del novecento (che è poi il secolo dell’asincronico) un gruppo di voci (Florenskij, Rosenzweig e altri), che hanno dato un’indicazione di meta di percorso possibile.

    Questo percorso possibile non è stato recepito (consciamente o inconsciamente) dalla critica d’arte ufficiale la quale ha sposato la filosofia dell’avanspettacolo, anche porno.

    Esiste una porta stretta (la tradizione) che può immettere in una possibile via che ci conduca fuori "dalla selva aspra e forte". La selva è la scala che poi va abbandonata. Va abbandonata perché (come dice Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophus " il senso del mondo deve essere fuori di esso... Se un valore v’è, esso deve essere fuori di ogni avvenire ad esser così... è chiaro che l’etica non può formularsi, l’etica è trascendentale, etica ed estetica sono tutt’uno... ma vi è l’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico").

    A giudicare dal panorama attuale sembra assurdo che l’arte possa recuperare il suo vero senso che poi è il senso del tramite. Ma il tramite chiede una legge.

    La legge sta nella tradizione e la tradizione è il perno, il punto di forza. I secoli dei lumi vanno scavalcati. Solo il ripescaggio del senso dell’"essere" dà certezza, o diciamo pure, potrebbe dare certezza come attestato nell’unica via percorribile. In altri termini l’artista non dovrebbe dimenticare l’Agape. Se l’artista contemporaneo dimentica il senso dell’agape vuol dire (in termini biblici) che è alleato col male che poi altro non è se non l’effimero.

    Ma il recupero del senso dell’armonia nell’arte non è un piccolo problema. Non è un piccolo problema perché è collegato con la salvezza e con la caduta della poesia.

    Il ripescaggio della poesia implica il recupero di un "discorso etico e trascendente" quindi il tutto si svolge e si dispiega nella hesychìa (sempre che si darà il suo tempo).
     
     

    Sussurri

    di Gastone Bonsembiante
     
     
     

    Il muscolo cremastere servirà solo a tenere la temperatura sotto controllo?
     
     

    Una volta ho veduto una "Madonna in gloria e santi" di Frà Bartolomeo: mi era piaciuta. Ora il ricordo di quel piacere lontano, e non ne conosco il motivo!, si è frammisto a qualcosa di molto simile al desiderio.
     
     

    La solitudine fa male al corpo. Forse è vero che voglio stare lontano dalle mie palle.
     
     

    Il desiderio. La tentazione di toccare è così struggente da non escludere perfino il rischio di morire. Forse à proprio questo che si desidera, nella speranza di riemergere in una realtà sconosciuta.
     
     

    Però, nella maggior parte dei casi, viviamo sensazioni ed emozioni contraffatte. Il corpo si comporta come un cane ben ammaestrato. Finisce che non penso più nemmeno a chi mi sta accanto, quando invece sono felice della sua vicinanza.
     
     

    La nostra Midhgardh è qui.
     
     

    Basta con il raccogliere betili! Collezionarli e adoperarli serve solo a distrarci.

    Basta con la mitopoiesi
     
     

    Perché devo evitare l’analessi? dovrei vergognarmene?
     
     

    "Viene! viene!... La tua bocca?... La tua bocca!"

    "Si!... Si... Si..."

    "Oh! oh! Tutte le stelle cadono!...

    "Anche su me! Anche su me!..."(1)

    (1) Maeterlinck, Maurice, Pellas et Mélisande
     
     

    (maggio 1998)

     

    Utopia

    di Luisa Farina
     
     

    Campana sperduta

    il suono

    ovattato che mandi

    nell’aria

    annulla lo spazio

    raggiunge

    i confini del mondo.
     
     

    Sul greto

    di un misero fiume

    il viandante riposa

    solleva lo sguardo e

    una lacrima

    bagna quel viso.
     
     

    Sicuro rimbalza

    il richiamo

    da monte a valle e...

    solerte

    porta un messaggio

    agli sciacalli:

    per un momento

    ferma la mano

    pronta a colpire...

    ma forse

    questo è

    soltanto "utopia".
     
     
     
     
     
     
     
     

    La poetessa ha ricevuto numerosi premi di poesia ed ha pubblicato per varie case editrici tra cui la Gabrieli di Roma, Ibiskos di Empoli ecc:
     
     

    A proposito di Salerno come Barcellona

    ...DIVERTIMENTIFICIO…MA DOV'E' LA CULTURA?

    leggere L’Espresso della prima settimana di giugno (peut-être)...

    ... e anche... perchè no?...
     
     

    ... Artisti doc a Parigi

    Meriti a Senatore e Grassi

    Persone & Cose. Salernitani a Parigi
     
     
     
     
     
     
     

    Eva Rachele Grassi e Angelo Ermanno Senatore. Ve la ricordate quella strana coppia d'artisti che fino a un paio d'anni fa portava a Salerno performances mai viste? E ve la ricordate l’Interprise, anch'essa stranita galleria infilata in un buco buio della città vecchia? Ebbene, gli uni e l'altra continuano a lavorare tra le maree e le bonacce di fine millennio. Solo che sono approdati lontano.

    A Parigi, porto sicuro per vecchi e nuovi bohèmiens. Col bagaglio leggero di chi non sa essere profeta in patria, col passaporto internazionale del giramondo delle idee - le loro, quelle degli amici artisti d'ogni nazionalità - Senatore & Grassi han traslocato oltralpe e si son dati a ricostruire le mille "interferenze" del loro percorso culturale.

    La galleria è diventata galerie-atelier, si chiama ancora Inter/Prise ma anche Le GNAC, in omaggio allo spazio espositivo che c'era prima al 35 di avenue Pierre Billotte. Nella "galleria degli italiani", come l'hanno ribattezzata i parigini, Grassi & Senatore continuano ad esplorare i linguaggi e simulacri della cyber-dada-beat-beep-bit-generation.

    E a Salerno, dove tornano con un entusiasmo che scavalca rimpianti e dispiaceri, lanciano l'idea di un gemellaggio culturale tra gli art-makers cittadini e il loro entourage parigino.
     
     
     

    (da Il Mattino, 28.7.1997, Carla Errico, resp. Redazione Salerno)

     
     
     

    Evenements
     
     
     
     

    La Bibliothèque Nationale de France, après presque huit mois de déménagement des collections imprimées et audiovisuelles, commencée en mars 98, reouvrira, le 29 septembre, les salles de lecture du haut-de-jardin du site François Mitterand, et le 8 octobre, celles du site Richelieu.

    Au seuil du troisième millénaire, un projet avancé, spectaculaire et nécessaire, sur le rêve de la Bibliothèque labyrinthique d'Alexandrie.

    Un outil qui joue un rôle moteur dans le développement des nouvelles technologies au service de la vie et de l'invention culturelle.

    Du moins, nous aimerions qu'il soit ainsi...
     
     

    Festival de Saint Denis. Saints and Singing, d'après Gertrude Stein, mise en scène Bob Wilson.

    Même si cette représentation est déjà "passé", on continue à guetter le Magicien de Waco et ses visions de pureté. Bob Wilson, d'ailleurs très souvent à Paris, nous offrira bientôt, sans doute, d'autres onirismes, largement inspirés du théâtre nô, et nous entraînera encore dans des univers où les mouvements, les lumières, les décors mêmes, s'inscrivent comme des caractères sacrés, avec lesquels on pourrait, peut-être, obtenir de converser avec les dieux...
     
     
     
     

    Expo
     
     
     
     

    Bibliothèque Nationale de France.

    L'Aventure des écritures. Naissances.

    Catalogue, sous la direction d'Anne Zoli et Annie Berthier.

    ...selon la tradition chinoise, à travers l'invention de l'écriture, prêtée au devin - scribe Tsang-Kii,- l'homme pouvait desormais percer les secrets de l'univers...

    L'Aventure des écritures confronte des traditions scripturaires très diverses dans leur rapport au dessin et à la parole, ainsi qu'au déchiffrement du texte. La prochaine étape de cette exposition, en 1999, autour des supports de l'écrit...
     
     

    Alla galleria francese di piazza Navona dal 30 giugno al 31 agosto 1998 il Servizio Culturale dell’Ambasciata di Francia presenta una mostra fotografica dedicata ai grandi ritratti di Félix Nadar....Théophile Gautier, Gérard de Nerval, Charles Baudelaire, Hector Berlioz......ritratti dalla luce....
     
     

    Livres
     
     

    Recherche Philippe Sollers par Nina Zivanceviç , éd. Noël Blandin, Paris

    ...Un livre de choc très post-moderne, combatif et jouissif, formé d’une série de nouvelles juxtaposées. Il s’en dégage une grande énergie critique, une conscience aigüe et ironique de la condition de l’artiste et de la femme dans la societé post-historique actuelle... Un livre baroque et cruel, pour les années ‘90. Un livre délocalisé, d’une ironie post-œdipienne, post-familiale, d’une intelligence intensément actuelle, profondément philosophique. Un livre de culture et d’anti-culture, de connaissance du passé, d’amour de la beauté et d’indispensable irrévérence...
     
     

    Nina Zivanceviç , écrivain et critique d’art, collabore avec NY arts magazine, Flash Art International, Tribeca, etc. Nina vive, travaille et rêve entre New York, Paris et les suggestions du mystère oriental.
     
     

    L'Art et la folie par Sophie de Sivry, éd. Les Empêcheurs de penser en rond.

    ... Les vertiges de l'amour, l'extase de l'au-delà les hallucinations des génies créateurs, les passions extrêmes, les fous comme miroir des sages...Artaud...Van Gogh...Bosch...
     
     

    Vu, Vus, Vues, années ‘60 par Pierre Descargues et Catherine Velogne, 2d. du Cercle d'Art.

    ...les secrets d'une époque fiévreuse et rebelle...
     
     
     
     

    Cahiers
     
     

    LATITUDES - Cahiers Lusophones - mensuel de l’Association "Cahiers Lusophones"- Partenaire: Interaction et echanges culturelles et artistiques entre France et Portugal - Le siège et le comité de rédaction sont à Paris, 75, rue de Bagnolet 75020 Tel./Fax 01 43 67 64 08 - 01 43 48 18 15 - Directeur: Daniel Lacerda

    ...dans l’esprit de l’amitié et des echanges entre les cultures et les coutumes, l’art du Portugal, des Pays Lusophones et notre mouvance franco-italienne, internationale, dans le prochain numéro il y aura un article dédié à notre bizarre atypique movida des Molecules d’Amour...

    ...Nous avons connu et admiré le dynamisme culturel du Directeur de ces Cahiers, de la Maison du Portugal à Paris et les fameux artistes-peintres Costa Camelo, le trés sympa Bertino ami de Isidore Isou du Mouvement Lettriste...
     
     

    Lieux
     
     

    Le Fumoir

    6 rue de l'Amiral Coligny, 75001 Paris.

    ... sorte de café-littéraire et aussi bibliothèque, riche de 3000 titres, que l'on peut consulter, ou même emporter, à condition de laisser autant de livres en échange...
     
     
     
     

    Adresses, Contacts ...
     
     

    ArtMag

    Natan Karczmar

    119, rue des Pyrénées 75020 Paris France

    Tél: +33 1 43 71 14 92 - Fax: +33 1 43 79 79 93

    E-mail: Nkarczmar@aol.com - http://www.artmag.com
     
     

    Monique de Beaucorps

    President de l’Association SYN’ART

    26, Avenue de Breteuil, 75007

    Paris - Tél/Fax: 01 45 66 63 50
     
     

    Maison Heinrich Heine

    27c, Boulevard Jourdan

    Cité Internationale Universitaire de Paris

    75014 Paris

    Tél: 01 44 16 13 00

    Fax: 01 44 16 13 00
     
     

    PLANET CYBER CAFÉS

    173, rue de Vaugirard - 75015 Paris

    Tél.: 01 45 67 61 14

    Ouvert de 11h à 21h
     
     

    53, rue St Anne - 75002 Paris

    Tél.: 01 42 86 16 49

    Ouvert de 11h à 18h
     
     

    G.A.C. Galerie Art Contemporain - Mairie de Créteil

    Art Directors: Reda Otmanetelba et Nathalie Gilbert

    10. Avenue F. Mitterrand - Quartier Source

    94000 Créteil

    Tél.: 01 49 56 13 10

    area

    Francis Fichot

    Métro Filles du Calvaire

    Ouvert du mercredi au samedi de 14h à 19h

    le dimanche da 15h à 19h

    10, rue de picardie 75003 Paris

    Tél.: 01 42 72 68 66
     
     

    L’AUTRE GALERIE NEW G.N.A.C. - INTER/PRISE (Loi 1901)

    Art Directors: Groupe Extrême Jonction

    Angelo Ermanno Senatore et Eva Rachele Grassi

    35 bis, Avenue Gén. Billotte

    94000 Créteil

    Tél.: 01 43 99 45 65

    E-mail: extremejonction-fr@ceejel.com

    www.ceejel.com/ extremejonction-fr
     
     

    CENTRO D’ARTE L’OFFICINA DI GORGIA

    Art Director: Anna Maria Corbi

    Via Tiburtina, 216 - Cortile F

    00185 Roma

    Tel. 06 444 41 440
     
     

    Librerie Feltrinelli

    (aperte anche la domenica)

    Via del Babuino, 41

    00186 Roma

    Tel. 06 36001842
     
     

    FARHENHEIT 451

    (libreria aperta fino a mezzanotte)

    Campo de’ Fiori, 44

    00187 Roma
     
     

    PAOLELLI ...dal 1925

    ARTE E CERAMICA

    Via Antonio Sogliano, 99-119

    00164 ROMA

    Tel. 06 666 32 42
     
     

    nova magazine

    33, rue du Fbg St-Antoine

    75011 Paris

    Tél.: 01 53 33 33 00 - Fax: 01 53 33 33 28

    EDIZIONI PULCINOELEFANTE

    di Alberto Casiraghi

    (l’unico editore che stampa in giornata)

    Via Pinemonte, 12

    22058 OSNAGO (Lecco)

    Tel+39.39.58612
     
     

    le crédac

    centre d’art d’ivry

    galerie fernand léger

    93 avenue georges gosnat

    94200 Ivry

    tél.: 01 49 00 25 06

    Fax: 01 40 60 25 07
     
     

    Web bar

    Galerie d’art contemporain, performance, vidéo, webart, internet, etc.

    Art director: Steve Hachon

    32, rue de Picardie, Paris

    Tél.: 01 42 72 66 55
     
     

    Le journal des Expos

    mensuel gratuit, il est distribué en région parisienne dans les lieux spécialisés (galeries, musées, etc). Fondé par des artistes, il comporte pour l’essentiel des comptes rendus d’expos et des interviews.

    209, rue St-Maur 75010 Paris

    Tél.: 01 42 55 92
     
     

    Purple Prose

    Semestriel bilingue (40 F). Fondé par Eileen Fleiss et Olivier Zahm, ce semestriel est un fanzine très amelioré. Une revue touche à tout (art contemporain, musique, esthétique, mode...). Ah, la transversalité!

    Tour Helsinki - 50, rue du Disque

    75013 Paris

    Tél.: 01 45 86 97 27
     
     

    ... et des autres journaux bilingues:

    DDO Tél.:01 16 20 24 64 24

    ETANTDONNE (Belgique: Tél.: 32 2 538 40 28)

    LE VOYEUR Tél.01 40 31 08 45
     
     

    TAMLA Café Expo

    44 Bd Voltaire, Paris 11°

    Tél.: 01 43 38 61 05

    Paso Doble Art Magazine

    Francesco Forlani

    38, rue Louis Blanc

    75010 Paris
     
     

    ARTNOW

    Art director: Jane Kelly

    5 Dewhurst House

    Winnet Street -Soho

    LONDON W1V 7HF

    Tel: 071 494 4683
     
     

    Vademecum ARCI 1998

    www.roma.arci.it
     
     

    Arenotech - Projet MOSAIC

    MUSEUM OVER STATES AND VIRTUAL CULTURE

    Dir. André Lœchel et Laura Garcia

    15/17 Rue de Normandie

    92400 Courbevoie (Paris) - France

    Tél.:+33.1.47881897

    Fax: +33.1.47891457

    E-mail aloechel@atelier.fr
     
     

    Parallèles Achat-Vente

    Disques, Livres, Fanzines, Révues

    47, rue St. Honoré

    75001 Paris

    Tél.: 01 42 33 62 70

    Ouvert du lundi au samedi de 10h à 19h

    M° Chatelet-Les Halles
     
     

    EXISTENCES

    20, rue des Plantes

    75014 PARIS

    Tél.: 01 40 44 97 04
     
     

    L’AME ET LE CŒUR

    Spiritualité, Informations, Livres, Rencontres...

    4, Passage du Grand Cerf

    75002 Paris

    Tél.: 01 40 13 93 69

    Fax.: 01 40 13 00 38

    L’EUR DU TEMPS

    Espace possible

    Reseau alt. d’echanges et savoirs

    Association Espace

    8 bd de Suzac

    17132 Meschers
     
     

    LIBRAIRIE LADY LONG SOLO

    rue Keller, Bastille - Paris
     
     

    FUSAC

    France Usa contacts

    Office: 3, rue Larochelle

    75014 Paris

    (off rue de la Gaîté, corner Théatre Montparnasse)

    Tél.: 01 45 38 56 57

    Fax: 01 45 38 98 94
     
     

    ASTARTÉ - L’œil et l’âme

    Jean-Michel BLOCH

    18, rue Boulard

    75014 PARIS

    tél.: 01 56 54 09 29
     
     

    NIGHT New York Artmagazine

    Established in 1978; published by Anton Perich, Inc.

    Suite 235 The Gershwin Hotel

    7 East 27 Street

    New York, New York 10016

    Tel/Fax: 212-725-9790

    E-mail: nightmag@hotmail.com.

    Editors Anton Perich & Robert Henry Rubin
     
     

    COSTA

    Patricia Costa, Graphic Design

    334 Grand Avenue

    Brooklyn, New York 11238

    Tel: 718 638 1967
     
     

    NIRVANA

    Associazione culturale ARCI

    Incontri-dibattiti-spettacoli-performances-musica

    Via degli Equi,57

    Roma - S.Lorenzo

    cybernews
     
     

    Pour les nuls du Internet pensiero...si vous avez simplement un téléphone, ou une télé, vous pouvez rentrer dans le reseau de l’INTERNET ON LINE ou avoir un adresse E-mail sur votre carte de visite, simplement si vous contactez le site "Cyber Valley"...
     


     
     

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    POUR CEUX QUI VEULENT SOUTENIR NOS UTOPIES CONCRETES IL Y AURONT DES "PAGES BLANCHES"
     

    A DISPOSITION
     

    (PAS SEULEMENT LA PAGE BLANCHE DE STEPHANE MALLARME)
     

    POUR ANNONCES…CONTACTS…ACTIVITES CULTURELLES…REVUES…GALERIES
     

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    AAA..ATTENTION ON CHERCHE UN PARRAINAGE EDITORIAL…
     

    ..POUR UNE TRANSFORMATION CAMELEONTIQUE DE NOTRE REVUE
     

    ….DE UNDER/GROUND A OVER/GROUND….
     

    .CE N'EST QUE LE DEBUT DU DEBAT
     

    …CONTACTEZ-NOUS…ON A BESOIN DE TOUS…DE
     

    POETES…ARTISTES…PHILOSOPHES
     

    …MAIS AUSSI ET SURTOUT DE……
     

    …MECENES……..PUBLICS ET
     

    PRIVES……ESPRITS OUVERTS……
     

     ON VOUS ATTENDE………
     
     

    M
     
     
     
     
     
     
     
     

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    Sommario
     
     

    Editorial

    Invit/Action par Angelo Ermanno Senatore Luxe Magnifique par E.R.G. Chapitre 1 ELOGE DE LA DIFFERENCE: ...

    Le "Machinisme"... La Peinture de l’Art Cyberdada... Beat-Beep-Bit Generation - A. 3000 - et... Le scandale de la Fin...

    par Angelo Ermanno Senatore Le Miroir de la Fleur et son Spectre par Elizabeth Frolet
    Chapitre 2 MOLECOLE D'AMORE

    Manifeste Traitiste

    par Claudio Bianchi en collaboration avec Marco Fioramanti Le Manifeste Poetique d'Extreme Jonction par Eva Rachele Grassi Le Trait du Miroir par Eva Rachele Grassi Pour un Projet de l'Ailleurs par Eva Rachele Grassi I Ca(o)s(o)nauti par Eva Rachele Grassi Eclaircissements Cyber-Ethno-Dada par Angelo Ermanno Senatore Manhattan, un Artiste Croate: Anton Perich par Marco Fioramanti
    Chapitre 3 SEMI DI LUCE

    Semi di Luce... Mundi Futuri Seminarium...

    par Eva Rachele Grassi

    Insinuazioni di Ritorno dal Festival d’Arte Elettronica di Rennes

    di Ninì Candalino Exercises de Philosophie Electronique de l’Exploration de Nouveaux Langages . a la Recherche de Nouvelles Realites par Eva Rachele Grassi A Proposito di "Liaisons Dangereuses" tra Arte e Comunicazione Tecnologica di Filiberto Menna Dromoscopie a cura di Ninì Candalino A proposito di Video-Critica?! di Eva Rachele Grassi ed Ermanno Senatore Comunicazioni in Tempo Reale di Angelo Ermanno Senatore Insinuazioni in Tempo Reale di Eva Rachele Grassi Manifest/arione del nuovo ambiente artistico di Giuseppe Siano 49
    Chapitre 4 INTERVIEWS

    Rendez-vous avec M.me Madeleine Van Doren - Art Director de la Galerie Fernand Leger et du Credac Ville D’ivry, Paris - France

    par Angelo Ermanno Senatore "Al Di Là del Segno" di Marjorie Allthorpe-Guyton Bella Freud by Robert Henry Rubin
    Chapitre 5 IPOTESI

    Arte fuori delle Regole

    di Anna Maria Corbi
    Chapitre 6 CHIACCHIERICCIO CON I MAESTRI

    Carlo Belli

    Bruno Zevi
     
     

    Chapitre 7 ETHNOART

    Comment J’ai appris a Reconnaitre mon Double

    par Marco Fioramanti L’effimera Arte degli Sciamani di Romano Mastromattei Joseph Beuys amongst the Shamans by Michael Oppitz Primitivi Urbani di Lidia Reghini di Pontremoli
    Chapitre 8 OPEN ART

    Molecole d’Amore

    Accrochage Collectif a la Galerie d'Art de Creteil

    Eurynome’s Gambit/ Chaos in Action

    project of Evgenija Demnievska and Wolfgang Ziemer Eclaircissement de la Performist "Work in Progress" du Groupe Extrême Jonction: "Un Coup de Dés..." par Eva Rachele Grassi
    Chapitre 9 CYBERDADA CAFE

    Il Senso e l’Arte

    di Franco Di Vito Sussurri di Gastone Bonsembiante Utopia di Luisa Farina 95 A proposito di Salerno come Barcellona
    Divers 92
     
     

    Sommario
     
     

    Finito di stampare nell’agosto 1998

    per conto dell’ass. New GNAC/Inter/Prise (loi 1901)

    35 bis, Avenue Gén. Billotte - 94000 Créteil (Paris)

    Mediatisé sur Internet en France

    Printed in Italy



     
     
     
     

     
    RETOUR

    extremejonction@hotmail.com

    Mise à jour le :mardi 14 décembre 1999

    www.seuilextreme.scriptmania.com